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Una vita salvata

I figli d’Israele dissero al Signore: «Abbiamo peccato; facci tutto quello che a te piace; soltanto, te ne preghiamo, liberaci oggi!».
(Giudici 10, 15)

Quando la bontà di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore per gli uomini sono stati manifestati, egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia.
(Tito 3, 4)

Per l’apostolo la manifestazione della bontà, ossia dell’amore di Dio, è la presenza di Gesù Cristo, unico fra noi miliardi di esseri umani. Da notare che qui, come quasi tutta la Scrittura, «Salvatore» è detto di Dio, Gesù è solo la dimostrazione di questa sua opera di salvezza.

Il verbo salvare è comune, perfettamente comprensibile nel campo della vita pratica: si salva chi è in pericolo mortale, è invece molto meno comprensibile se riferito alle realtà dell’anima, cioè della vita interiore. Oggi la salvezza costituisce problema solo per poche anime religiose, sensibili al problema del proprio destino, altri sono i problemi dell’oggi.

Tutta la predicazione degli apostoli ruota invece intorno al tema della salvezza cioè di una vita liberata dall’egoismo, dall’orgoglio, dalla sufficienza. Si è discusso a lungo per sapere se una vita «salvata», cioè autenticamente cristiana, nasca dalla fede, cioè dall’accettazione della grazia divina o anche dall’impegno a vivere questa grazia nella propria vita, che qui l’apostolo definisce «opere».

Le azione positive, compiute per il bene, per amore sono parte essenziale della fede ma secondo l’apostolo solo la misericordia divina, cioè Cristo, può salvare dall’insignificanza del vivere.

Foto: “Malevici06“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.