
Protestantesimo, coscienza, amicizia
Charles Taylor e il suo “Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna”
Caratterizzante del protestantesimo è il trinomio coscienza-libertà-responsabilità. E la coscienza ha a che vedere con l’interiorità, l’introspezione. Si situa alle radici dell’io. Proprio quelle radici che la monumentale opera di Charles Taylor – Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna, ormai un classico – prova a cogliere.
Poniamoci in ascolto: «La pratica dell’esame di coscienza faceva parte della disciplina tanto dei gesuiti che dei puritani. La sua importanza per questi ultimi, naturalmente, è più risaputa e documentata in quanto rappresenta una delle fonti della letteratura moderna inglese, in particolare del romanzo. […] E i puritani furono incoraggiati a scrutare continuamente la propria vita interiore al duplice scopo di individuare i segni della grazia e dell’elezione divina, e di uniformare i propri pensieri e i propri sentimenti alle disposizioni di amore e di gratitudine verso Dio donate loro dalla grazia. Ciò che è notevole è che questa disciplina, lungi dall’essere riservata a una ristretta élite di atleti spirituali, era destinata a tutti i cristiani. Nella Nuova Inghilterra», a esempio, «quasi tutti i puritani che sapevano scrivere tenevano un diario». E in Inghilterra, per dirla con Lawrence Stone, «dal Seicento in poi si riversa sulla carta un torrente di parole concernenti pensieri e sentimenti intimi. A scriverle sono numerosissimi uomini e donne inglesi del tutto comuni, di orientamento sempre più laico». Così, nota Taylor, «la cultura protestante dell’introspezione si secolarizza in una sorta di autobiografia confessionale», contribuendo a definire un nuovo genere letterario che confluirà nel romanzo inglese del Settecento.
Ecco, l’introspezione, l’intimità della coscienza vengono condivise, sulle orme di Agostino; il diario personale si fa diario pubblico. Ma non è il solo modo per operare una sorta di socializzazione del “foro interno”.
Guardiamo a un autore come Montaigne: se Cartesio, nota Taylor, «richiede un distacco radicale dall’esperienza comune», «Montaigne sollecita un maggior radicamento nella nostra particolarità», nella particolarità del sentire umano. E si tratta di due aspetti dell’individualità moderna ancor oggi in contrasto. Del resto, la parola Saggi, in Montaigne, indica esperienze, più che tentativi. Ma – ecco il punto – l’autore è consapevole del fatto, e lo scrive, che quella penetrante visione del particolare, frutto di laboriosa riflessione, può sorgere spontaneamente in un’amicizia profonda. Se aveva intrapreso la sua opera, anzi, era proprio per la mancanza dell’amico, La Boétie. Non solo: rispetto a quel legame, gli Essais rappresentavano un ripiego. «Egli viveva, godeva, vedeva per me, e io per lui. Per questo cerco di decifrare me stesso con tanta curiosità». E, aggiunge Taylor, «l’io lo si fa e lo si esplora mediante le parole; e le parole migliori sono quelle che ci si scambiano in un dialogo fra amici. Quando questo dialogo non è possibile, la conversazione con il proprio io riesce di gran lunga più stentata e faticosa».
Ecco, la mia idea è che, oltre al colloquio tra amici e al soliloquio, la voce della coscienza individuale possa risuonare a livello comunitario – in una comunità di fede, poniamo –, nella fusione “anima e corpo” degli amanti (della coppia) e, perché no, nella “gran città del genere umano”.