Piemonte, bocciata la legge per gli alloggi popolari
Il tribunale di Torino giudica anti costituzionale la norma che prevede diverse modalità di accesso alle case fra italiani e stranieri
Il tribunale di Torino ha bocciato le regole per l’accesso alle case popolari della Regione Piemonte. L’impianto, modificato nel 2024 dalla Giunta del presidente Alberto Cirio, prevede che il cittadino straniero, per beneficiare di un alloggio di edilizia sociale, debba avere un contratto di lavoro. Per gli italiani non è così. Il giudice Alberto La Manna, firmando due ordinanze, ha disapplicato la legge fortemente voluta dell’assessore regionale alle Politiche sociali, Maurizio Marrone, Frratelli d’Italia.
Con due provvedimenti del 4.11.2025, il Tribunale di Torino ha accertato il carattere discriminatorio di alcune delle norme della Regione Piemonte, introdotte nel 2024, che regolano l’accesso all’edilizia residenziale pubblica (ERP) rinviando in parte la questione alla Corte Costituzionale e, nel contempo, ordinando la consegna immediata della casa ad una cittadina straniera illegittimamente esclusa.
L’azione presso il tribunale era stata guidata dall’ Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e da una cittadina algerina, con l’intervento dei sindacati CGIL Piemonte, SUNIA Torino e SICET Piemonte, contro la Regione Piemonte e l’Agenzia Territoriale per la Casa (ATC) del Piemonte Centrale.
Con una prima sentenza – si legge sul sito di Asgi – il Tribunale ha accolto le domande proposte dalla signora di cittadinanza algerina, titolare del permesso di soggiorno di lungo periodo e moglie di cittadino italiano, alla quale era stata revocata l’assegnazione di un alloggio pubblico unicamente perché non svolgeva un’attività lavorativa al momento della consegna delle chiavi.
Secondo il giudice il requisito, pur previsto dalla legge regionale e anche dal “Testo Unico immigrazione”, è in contrasto con la Direttiva 2003/109/CE, che garantisce ai soggiornanti di lungo periodo la parità di trattamento con i cittadini nazionali nell’accesso agli alloggi e che pertanto non consente che gli italiani possano accedere alle graduatorie anche se disoccupati, mentre gli stranieri lungo-soggiornanti ne sono esclusi quando perdono il lavoro. Il giudice ha quindi “disapplicato” la norma regionale e ha riconosciuto alla signora il diritto all’alloggio che già le era stato assegnato e poi revocato.
La sentenza comporta che anche gli altri stranieri lungo-soggiornanti cancellati dalla graduatoria per il medesimo motivo (cioè la condizione di disoccupati) potranno far valere, con ulteriori ricorsi individuali, il loro diritto a essere riammessi.
PAl fine però di rimuovere definitivamente la norma dall’ordinamento anche per gli stranieri titolari altri permessi, il giudice, con una separata ordinanza, ha altresì sollevato questione di costituzionalità chiedendo alla Corte Costituzionale di cancellare la norma, anche per contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. essendo del tutto irragionevole che proprio la condizione di disoccupazione, che esprime una condizione di bisogno più elevato, diventi, per i soli stranieri, ragione di esclusione.
Sempre con la seconda ordinanza il Giudice ha sollevato questione di costituzionalità anche dell’art. 8, L.R. 3/2010 che attribuisce un punteggio aggiuntivo per la residenza prolungata, da 15, 20 o 25 anni, “a prescindere da qualsiasi correlazione con uno stato di bisogno“. Il Tribunale, richiamando precedenti pronunce della stessa Corte Costituzionale, ricorda che “la residenza di lunga durata smarrisce ogni legame con le situazioni di bisogno o di disagio riferibili alla persona in quanto tale […] e rischia di precludere l’accesso alle prestazioni pubbliche alle persone che abbiano esercitato la libertà di circolazione o abbiano dovuto mutare residenza” (sent. Corte cost. 1/2025). Tale criterio penalizza di fatto i cittadini stranieri, che hanno statisticamente una maggiore mobilità e che quindi più difficilmente maturano requisiti di lungo-residenza nella Regione.
ASGI e i sindacati intervenuti esprimono «grande soddisfazione per queste decisioni che rappresentano un passo decisivo per la modifica di un sistema di accesso alla casa pubblica basato su criteri iniqui e discriminatori anziché sulle reali condizioni di bisogno dei nuclei familiari e costituiscono un’ulteriore sollecitazione alla politica affinché affronti il tema degli alloggi pubblici, ai quali continua ad essere riservata una quota irrisoria di risorse».