La cittadinanza cristiana in Europa
I Consigli nazionali di chiese cristiane europei, convocati dalla Conferenza delle chiese europee, hanno riflettuto su pace e sicurezza, democrazie e populismi
Come possono le chiese contribuire alla pace in Europa? Che rapporto c’è tra pace e sicurezza? Qual è il ruolo dei cristiani nella società? Sono queste alcune delle domande che hanno animato l’incontro “Verso una cittadinanza cristiana in Europa” tenutosi a Nyborg (Danimarca) dal 15 al 17 settembre scorsi.
Convocato dalla Conferenza delle chiese europee (KEK), l’evento ha visto la partecipazione di una sessantina di persone, in rappresentanza dei Consigli nazionali di chiese europei (ENCC) e degli uffici ecumenici delle chiese membro dell’organismo ecumenico continentale.
Cittadinanza cristiana.
“Il titolo dell’incontro si basa sul concetto di cittadinanza cristiana sviluppato da Basilio di Cesarea (330-379), uno dei tre grandi padri cappadoci” – ha spiegato Emil Hilton Saggau, segretario generale del Consiglio delle chiese cristiane in Danimarca – Basilio, infatti, unì alla vita monastica comunitaria un forte spirito di servizio verso il prossimo, promuovendo inoltre l’educazione che permetteva ai cristiani di intervenire nella vita pubblica”.
La cittadinanza cristiana indica, quindi, la partecipazione dei cristiani “alla vita delle società in cui vivono e il contributo che possono dare alla libertà, alla giustizia, alla pace e al dibattito democratico”, ha precisato Frank-Dieter Fischbach, segretario generale della KEK in un’intervista andata in onda nella rubrica di Radio1 RAI ‘Culto evangelico’ (dal minuto ’10”43 al minuto ’14”19).
“Questa cittadinanza – ha aggiunto Fischbach – va intesa a livello ecumenico perché riguarda i cristiani nel loro insieme e risponde alla parola profetica di Geremia 29:7 che esorta ad adoperarsi per il bene della città. Indica inoltre un impegno che non deve essere esclusivo, ma condiviso con persone di altre fedi e con la società civile”.
Sicurezza e pace.
Quello della sicurezza è un tema che gli Stati europei, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, stanno rimettendo al centro delle loro preoccupazioni, tanto che si parla apertamente di riarmo. Diversi interventi hanno sottolineato come ormai sia andato in frantumi il quadro delineato dagli Accordi di Helsinki del 1975 che prevedevano tra l’altro, nell’Europa della guerra fredda, l‘inviolabilità dei confini nazionali.
Ascoltando le testimonianze di rappresentanti delle chiese ucraine è ancora una volta emersa la domanda: come parlare di pace in un tempo di guerra? Perché, è stato fatto notare, pace e sicurezza non sono la stessa cosa. “Questo è un tema su cui abbiamo iniziato tra di noi una discussione”, ha sottolineato Fishbach
“E’ apparso chiaro dall’invasione russa dell’Ucraina che è inevitabile parlare di sicurezza. Però per le chiese questo non è un concetto che può limitarsi a una discussione sulle armi o sul diritto alla difesa, ma riguarda tutto quanto costruisce la pace, quindi la diplomazia e la cultura del dialogo e dell’incontro. Sicurezza è un concetto più ampio di un discorso sugli armamenti”.
“Se non iniziamo oggi a pensare alla riconciliazione e a trovare oggi dei gesti di riconciliazione, quando la guerra sarà finita, sarà troppo tardi”, ha ammonito la sociologa ucraina Tetiana Kalenychenko proveniente dalla regione di Bucha.
Europa e libertà.
Come è stato rilevato da più oratori e oratrici, l’Unione europea è nata come un esperimento di pace con l’intuizione di trasformare ciò che alimentava la guerra – la produzione di carbone e di acciaio – in un bene condiviso. Oggi servirebbe un’intuizione altrettanto geniale e coraggiosa.
Invece, è stato rilevato da tutti i partecipanti, l’Europa è attraversata da nazionalismi e populismi, alimentati da razzismo e spesso sostenuti da una religiosità cristiana identitaria che poco ha a che fare con la fede in cristo. La democrazia è in pericolo e molti cittadini del continente non sanno più che cosa sia l’Unione europea.
“Se voi europei dell’Unione non sapete più che cos’è l’Europa, ve lo diciamo noi dalla Georgia: per noi è un’occasione di libertà!”, ha affermato il vescovo battista Malkhaz Songulashvili, pastore della Cattedrale della Pace a Tbilisi in Georgia – una nazione che ha chiesto l’ingresso nell’Unione europea e che si sente presa nella tenaglia geopolitica russa.
“L’elemento forse più prezioso di questo incontro è l’aver potuto ascoltare persone come il vescovo Songulashvili, che altrimenti non si sarebbero mai incontrate, e capire e imparare dalla loro esperienza”, ha sottolineato il pastore Luca Baratto a Nyborg in rappresentanza della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
La KEK torna a casa.
Infine, l’incontro di Nyborg è stato l’occasione per commemorare la nascita della Conferenza delle chiese europee. La KEK, infatti, è nata in questa cittadina nel 1959, proprio all’Hotel Nyborg Strand che ha ospitato l’evento e sul cui “Wall of Fame” è stata appesa una targa commemorativa. Le riunioni di fondazione dell’organismo ecumenico continentale si sono tenute in parte nell’albergo in parte su una nave al largo del Baltico su acque internazionali.