Il capitale umano delle persone migranti
Il racconto dell’evento “Quinto capitale. Lo sguardo e le parole delle comunità accoglienti” di sabato 20 settembre a Palermo
Come ha scritto la giornalista Lilia Ricca sul portale “Il Mediterraneo 24″ «Dare voce alle storie, trasformarle in un bene comune e farne strumento di cambiamento., è stata questa la sfida al centro del convegno «Quinto capitale. Lo sguardo e le parole delle comunità accoglienti», che sabato 20 settembre ha riempito la sala di Palazzo Comitini a Palermo. Una giornata di confronto promossa dal Sai Palermo e dal Centro diaconale La Noce, che ha portato insieme amministratori, giornalisti e operatori sociali».
Il Sai, Sistema di accoglienza e integrazione, è costituito dalla rete degli enti locali che forniscono supporto e assistenza ai migranti che arrivano sul territorio nazionale.
C’è bisogno di uno sguardo che abbia innanzitutto l’intelligenza politica di decostruire il frame di odio che si polarizza ogni volta che si discute sul tema “accoglienza”, ha detto Fabrizio Ferrandelli, assessore alle politiche giovanili e all’accoglienza migranti, aprendo la mattinata.
Bisogna dunque ripartire dalla narrazione dei fatti, -ha scritto la giornalista Gabriella Debora Giorgione- tanti, che quotidianamente ognuno di noi fa per rendere possibile un’accoglienza di sistema come quella del Sai: «A partire dalla scelta che abbiamo da poco deliberato di proseguire i progetti Sai attivati fin dal 2014», ha precisato Ferrandelli indicando la strada dove sguardo e parole accoglienti si incontrano: quella della «riconnessione alla città» senza troppe mediazioni, per riascoltarci, rivederci, risentirci. Ricucendo fiducia, relazioni istituzionali e territoriali con un capitale sociale che a Palermo è fortemente ricco e vivace. Un “low profile”, dunque, che non fa rima con “timidezza istituzionale”, ma che rinvia ad una compostezza comunicativa come forma espressiva di scelte politiche e amministrative.
«Abbiamo voluto inserire nella governance dei progetti Sai del Comune di Palermo anche un professionista nella comunicazione proprio per consentire l’emersione del lavoro istituzionale e sociale che l’Ente locale e gli Enti del terzo settore stanno portando avanti da anni, a Palermo. Il Sai non è solo accoglienza di persone migranti, ma punto di snodo di collaborazioni e relazioni territoriali grazie alle quali ogni giorno promuoviamo processi di integrazione delle persone che accogliamo e questo lavoro di rete merita di essere raccontato», ha detto Angela Errore, responsabile di “Casa dei Diritti” e dei progetti Sai del Comune di Palermo, introducendo i lavori del tavolo.
«Il Comune ha fatto una scelta coraggiosa, unica in Italia: inserire un comunicatore all’interno di un progetto Sai – ha spiegato Gabriella Debora Giorgione, giornalista ed esperta comunicazione Sai Palermo –. Un lavoro che ci porta alla ricerca delle relazioni con chi gestisce l’accoglienza, con le diverse figure del coordinamento. Tanto da organizzare due volte al mese riunioni sulla comunicazione, consapevoli che dobbiamo seguire un profilo istituzionale. Da Palermo è partita con questo evento una parola nuova sul capitale narrativo alla luce dell’esperienza qui maturata».
Una comunicazione che racconta le attività quotidiane di tutte le sedi del sistema di accoglienza Sai di Palermo e include sia chi è accolto, sia il lavoro e le professionalità di chi accoglie, sia la “vision” degli Enti gestori. Il tema narrativo scelto è quello “induttivo”: raccontare “semplicemente” e con un linguaggio “piano” cosa si fa e come lo si fa, lasciando al lettore trarre le deduzioni.
È stata una intensa mattinata di riflessioni sulla comunicazione che per Anna Ponente è innanzitutto “relazione”. «E se è vero che comunicare serve innanzitutto a raccontare le storie delle persone, allora la nostra responsabilità è farlo in modo tale da stimolare in chi le legge un cambiamento di sguardo e di pensiero, con particolare riguardo ai diritti sociali, alle disuguaglianze, ai bisogni reali delle persone». Parla di “consapevolezza”, Anna Ponente, richiamando il valore del racconto e i cinque princìpi-cardine che devono orientare la bussola narrativa «perché la comunicazione sia consapevole, partecipata, etica, politica, trasformativa».
Ampia panoramica sulla comunicazione valdese, quella proposta da Claudio Geymonat che ha raccontato la sfida di comunicare come vengono utilizzati i fondi dell’8xmille che le chiese protestanti ricevono ogni anno, «non solo per trasparenza, ma per smontare pregiudizi. Il compito di un narratore è facilitato se i progetti da raccontare sono forti, solidi, Penso ai corridoi umanitari, lavorativi, universitari: iniziative dove le voci dei protagonisti assumono da sole un valore comunicativo elevatissimo, proprio nella direzione di superare luoghi comuni e stereotipi».
«Le parole comunità e comunicazione condividono la stessa radice», ha detto Matteo Scali raccontando la genesi di Radio Beckwith e il lavoro degli ultimi dieci anni con l’immagine e la metafora dell’iceberg della comunicazione diviso tra emerso e sommerso e della radio che si è mossa “a pelo d’acqua”: «Da qui siamo partiti per costruire una prospettiva nuova del nostro essere radio comunitaria. Abbiamo scelto di lavorare a partire dai margini, che rappresentano potenti punti di incontro tra le diversità, e di sostituire alla prospettiva del selfie un’idea di empowerment dell’auto narrazione delle persone e dei territori». E sul capitale narrativo, Scali è diretto: «Ragionare di capitale narrativo oggi vuol dire anche mettersi alla ricerca di strade collettive che, in un mondo di algoritmi, possano fungere da pietre d’inciampo nella diversità, permettendo l’emersione dei potenziali di racconto delle comunità».
A Pino Ciociola, inviato di Avvenire, il compito di scuotere la platea: «Non si racconta “da fuori”, bisogna sporcarsi le mani e le scarpe, bisogna abbracciare una persona senza dimora che magari non si lava da dieci giorni, bisogna “stare” nei luoghi e nelle vesti di chi ha appena perso tutto, bisogna respirare, annusare, vivere una disabilità per poter raccontare davvero una storia, anzi una persona. E soprattutto, non mentite mai, perché la verità prima o poi emerge e voi e il vostro racconto avrete perso per sempre la credibilità, facendo del male a chi soffre e a chi quella sofferenza la racconta davvero», ha detto in piedi, guardando tutti e tutte, emozionando ed emozionandosi.
Filippo Passantino racconta il capitale narrativo della sua impresa sociale, “Il Mediterraneo” che ha investito tutto nella comunicazione per generare impatto sociale e quindi con l’intento di creare un cambiamento nella comunità: «Cerchiamo di misurare il nostro capitale narrativo con la valutazione d’impatto. Con l’informazione del nostro giornale online, ilmediterraneo24.it, e della nostra piattaforma di condivisione video, terramatta.tv, lavoriamo a migliorare numero di accessi, partecipazione e qualità dei contenuti. Con la formazione che realizziamo nei nostri laboratori di giornalismo e comunicazione sociale cerchiamo di accrescere le competenze maturate nei partecipanti. L’obiettivo più grande è poi l’impatto sulla comunità. In quest’ottica la possibilità di mettere i nostri strumenti e le nostre competenze a servizio dei ragazzi del Sai Palermo è una delle forme di piena realizzazione del nostro lavoro», ha detto il giornalista del Sir.
Djoulafa Traore ha da poco compiuto 18 anni, vuole studiare e collabora con la redazione giornalistica del Sai Palermo Young. Saluta la sala, parla di lui, dei suoi sogni e di quanto sia felice di essere qui a Palermo, di fare un tirocinio come ottico e di come si senta “a casa” nella sede “Stellaria” del Sai Palermo o quando passa qualche giorno con la famiglia della sua tutrice. Sorride e coinvolge tutta la sala nel suo entusiasmo argentino.
A tirare le fila, l’analisi di Fabrizio Minnella (Fondazione “Con il Sud” e “Con i Bambini”): «La comunicazione sociale non può essere neutra. O è partecipativa e genera cambiamento, o non è comunicazione sociale. La narrazione, a differenza del semplice racconto, implica un punto di vista. Siamo nell’ere in cui la narrazione determina i fatti. Non essere attivi e non prendere posizione significa subire le narrazioni».