Résister. Mio marito

L’appuntamento di settembre con la rubrica di Riforma dedicata alle donne che resistono

 

È ormai tristemente noto il gruppo Facebook “Mia moglie”, aperto a tutti, i cui utenti (32.000, non esattamente un gruppo di preghiera delle nostre chiese) si scambiavano foto intime di mogli, fidanzate e sconosciute senza il loro consenso. Chiusa la pagina, gli appassionati del genere si sono subito ritrovati altrove, in particolare su Telegram, con appena un po’ più di selezione all’ingresso.

 

Le reazioni alla scoperta di questa ennesima violenza sulle donne via web erano prevedibili: sconcerto, scandalo, pubblica riprovazione. C’è anche chi ha suggerito di esporre gli uomini coinvolti con nome e cognome in una sorta di dantesca pena del contrappasso, in cui le punizioni inflitte ai peccatori rispecchiano i loro peccati. Un catalogo declinato secondo le diverse specialità, dallo stupro alla molestia e al gaslighting – un termine diventato di uso comune e che indica il controllo manipolatorio attraverso la svalutazione sistematica – in modo che le donne siano in grado di difendersi dai maschi pericolosi.

 

Un blog in continuo aggiornamento che potrebbe intitolarsi “Mio marito”: infatti il problema non riguarda soltanto chi ha messo un like sotto le foto del gruppo incriminato ma anche chi ci si è soffermato e non ci ha trovato nulla di strano (per tacere di Meta, che si è ben guardato dal censurarlo). Si potrebbe poi proseguire con gli abusatori sessuali e con gli uomini che usano il proprio potere per umiliare e intimidire le donne (un esempio? La recente molestia verbale di un tecnico di laboratorio a una ragazza durante un esame diagnostico al Policlinico Umberto I di Roma).

 

L’elenco sarebbe lungo, lunghissimo; ma non è di nuove liste di proscrizione che abbiamo bisogno. Serve piuttosto un lavoro culturale che parta dalla consapevolezza che la violenza di genere, comunque si dispieghi, è sistemica. Sono gli uomini che devono cominciare a prenderne atto e a dissociarsi: dalla battuta sessista, da ogni forma di complicità maschilista sul corpo delle donne, da un uso distorto del potere, sia sessuale che psicologico.