Periferici o marginali?
Aree interne, territori periferici e marginali: facciamo chiarezza
È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di settembre del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it. Il numero contiene un dossier dedicato ai territori interni del nostro Paese.
Per capire che cosa si intende quando si parla di aree interne, di territori periferici e marginali, abbiamo chiesto a Stefania Cerutti, geografa e docente all’Università del Piemonte Orientale di darci alcune informazioni, anche alla luce dei suoi ultimi studi (condotti assieme ad altri colleghi) che hanno portato a un rapporto della Società geografica italiana dal titolo «Territori in transizione. Geografie delle aree marginali tra permanenze e cambiamenti» (XVI Rapporto) nel 2024
– Perifericità e marginalità hanno due significati diversi?
«Sì, anche se spesso vengono usati come sinonimi. Perifericità indica una condizione geografica e spaziale: un territorio è periferico perché distante dai centri urbani, dalle infrastrutture, dalle reti di trasporto e dai poli di servizi. È quindi un concetto prevalentemente relazionale e spaziale.
Marginalità invece ha una connotazione più socioeconomica e culturale: un’area è marginale quando è esclusa dai processi di sviluppo, priva di opportunità lavorative, con scarsi investimenti pubblici o privati, bassa accessibilità ai servizi essenziali (scuola, sanità, connessioni digitali).
Tutte le aree marginali sono periferiche, ma non tutte le periferie sono marginali. Una periferia può essere ben collegata e dinamica, mentre una marginalità riflette soprattutto isolamento ed esclusione».
– Quali caratteristiche definiscono un’area marginale o periferica?
«Sono molte e diverse fra loro. Sinteticamente possiamo elencare lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione (soprattutto nelle aree montane e interne); la scarsa accessibilità (viabilità difficile, trasporti insufficienti, connessione digitale debole); la debolezza del sistema economico-produttivo (agricoltura di sussistenza, mancanza di diversificazione, assenza di imprese innovative); la limitata offerta di servizi (scuole, ospedali, uffici pubblici, attività culturali) e la vulnerabilità ambientale (rischio idrogeologico, incendi, perdita di cura del territorio a seguito dell’abbandono). Nelle rappresentazioni simboliche, poi, i territori sono percepiti come “arretrati” o “secondari”, anche quando conservano forti patrimoni culturali e naturali».
– Questi territori si stanno modificando? C’è un “ritorno ai borghi”?
«Negli ultimi anni sono emersi segnali di cambiamento: pandemia e smart working hanno incentivato un temporaneo ritorno ai borghi, soprattutto tra chi cercava spazi più ampi, qualità ambientale e stili di vita meno stressanti. C’è poi il capitolo dei nuovi abitanti: giovani imprenditori, artisti, professionisti digitali hanno iniziato a ripopolare alcune aree marginali, avviando attività di turismo esperienziale, agricoltura di qualità, artigianato innovativo. Infine, le politiche pubbliche e progetti europei (come la Strategia per le Aree Interne Snai) hanno sostenuto investimenti in servizi, digitalizzazione, infrastrutture. Non mancano aspetti critici, correlati a esempio alla Snai stessa o al Pnrr.
Tuttavia, il fenomeno è ancora fragile: non si tratta di un ritorno massiccio e definitivo, ma di nuove sperimentazioni che possono ridare senso e prospettive a questi luoghi. Anche il turismo, che da una parte ha alimentato la forza attrattiva di contesti marginali (esempio terre di mezzo lungo le valli montane) rischia di generare un effetto temporaneo oppure di “mordi-fuggi” in cui il paese (nella “retorica dei borghi”) rischia di rimanere ancorato a immagini e idee stereotipate (benessere a tutti i costi) fino a diventare talvolta trappola da overtourism e richiamo social/influencer (anche improvvisati)».
– L’abbandono di ampie zone di territorio è deleterio per il nostro Paese?
«Assolutamente sì. L’abbandono comporta conseguenze pesanti su diversi fronti.
Ambientali: mancanza di manutenzione di boschi, sentieri, canali, terrazzamenti con aumento di frane, alluvioni, incendi.
Sociali: perdita di comunità, di saperi locali, di coesione.
Economiche: spreco di risorse territoriali che potrebbero essere valorizzate (turismo, produzioni tipiche, energie rinnovabili).
Culturali e identitarie: rischio di cancellare una parte della memoria collettiva legata a borghi, paesaggi rurali, tradizioni.
Il Rapporto sottolinea come la cura delle aree marginali non sia una questione locale, ma nazionale: mantenere vive le aree interne e montane significa rafforzare la resilienza dell’intero Paese, anche contro i cambiamenti climatici e le crisi sociali».
BOX: LE CRITICITÀ DELLA SNAI
– Prima di tutto i tempi lenti e la complessità burocratica: la progettazione integrata prevista dalla Snai ha portato spesso a iter lunghissimi, con ricadute pratiche tardive sui territori.
– Eccessiva frammentazione: molti piccoli progetti locali non hanno avuto la forza di trasformarsi in un vero rilancio sistemico.
– Scarso coordinamento tra enti: la governance multilivello (Comuni, Regioni, Stato, UE) ha creato sovrapposizioni e dispersione delle risorse.
– Difficoltà di continuità: la sostenibilità dei progetti spesso si è interrotta con la fine dei finanziamenti, senza un reale radicamento nelle comunità.
– Criticità dei fondi Pnrr sui borghi
– Visione talvolta “turisticizzata”: alcuni interventi hanno puntato a trasformare i borghi in attrazioni turistiche senza lavorare davvero sulla qualità della vita degli abitanti permanenti.
– Rischio gentrificazione: restauri e riqualificazioni rischiano di attirare solo investimenti esterni (strutture ricettive, seconde case), aumentando i prezzi e spingendo fuori le comunità locali.
– Assenza di strategie di lungo periodo: senza politiche per servizi, lavoro e infrastrutture, il rischio è che i borghi diventino “vetrine” belle ma poco abitate.
– Disuguaglianze territoriali: non tutti i borghi hanno avuto accesso agli stessi fondi o alla stessa capacità progettuale e così si rischia di accentuare le differenze tra aree già più attive e quelle davvero marginali.
Foto di UkPaolo