Al Sae studio, approfondimento ma anche il senso della preghiera

Verso la conclusione la 61a sessione estiva alla Foresteria di Camaldoli

Si chiuderà domani, 2 agosto, la 61a sessione estiva del Segretariato attività ecumeniche, che quest’anno aveva al centro dei propri lavori l’anniversario (il 1700o anniversario!) del Concilio di Nicea, sessione che si era aperta domenica 27 luglio. Nei giorni successivi i partecipanti e le partecipanti sono entrati nel vivo del tema con un gran numero di relazioni e interventi, a partire proprio dall’occasione celebrativa di Nicea: la storica del cristianesimo Emanuela Prinzivalli e il teologo valdese Fulvio Ferrario hanno esaminato l’aspetto storico e teologico del Concilio del 325 che ha una sua unicità ecumenica ed è stato riconosciuto da uno spettro molto ampio di chiese cristiane.

A seguire, un panel ha affrontato il tema «Confessare Gesù Cristo per l’ecumene, tra Nicea e oggi», con interventi dell’arcivescovo di Modena-Nonantola Erio Castellucci, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana; di Athenagoras Fasiolo, vescovo ausiliare della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia; e di Lothar Vogel, decano della Facoltà valdese di Teologia di Roma, i quali, partendo dalle definizioni di Nicea hanno mostrato come l’eredità di quel Concilio sia stata recepita dalle Chiese e quali implicazioni essa abbia per la fede oggi. La giornata è terminata con la prima celebrazione ecumenica nella chiesa del Monastero, alla quale ha partecipato anche la Comunità monastica.

La seconda giornata della sessione di formazione ecumenica del Sae a Camaldoli si è aperta con una preghiera ispirata al cammino verso l’Oreb di Mosè, che si imbatte nel roveto ardente attraverso il quale Hashem gli si rivela come «il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe». La preghiera è sfociata poi nell’intervento proposto da rav Joseph Levi, rabbino capo emerito della Comunità ebraica di Firenze. È tradizione nel Sae, infatti, che la prima meditazione biblica sia svolta da una voce di tradizione ebraica per richiamare le radici del cristianesimo e il fatto che per il Sae il dialogo inizia a partire dal dialogo con l’ebraismo. Introdotto da Erica Sfredda – che ha espresso il dispiacere per l’aggressione subita domenica da una famiglia ebraica francese in un autogrill in Lombardia e per ogni altra forma di antisemitismo e di islamofobia –, rav Levi ha detto: «Ringrazio per l’invito a intervenire. In questo periodo di grande buio e caos il dialogo ebraico-cristiano deve servirci come un caposaldo di dialogo, di ascolto, di collegamento e intesa tra diverse culture, religioni e persone. Se ce l’abbiamo fatta tra ebrei e cristiani, con la nostra storia così sofferta, possiamo farcela anche in altri contesti. Rimaniamo saldi nella continuità del dialogo ebraico-cristiano, un modello di promozione e di possibilità di creare insieme un futuro più ragionevole»

La tavola rotonda di martedì 29 è stata tematizzata nell’ambito del rapporto tra il mistero di Dio e la cultura umana con il titolo generale «Dire Gesù», che richiama la declinazione in chiave ecumenica. Vi hanno preso parte la teologa cattolica Cristina Simonelli, il teologo Hanz Gutierrez, originario del Perù, laureato in filosofia, teologia e medicina, e docente di Teologia sistematica alla Facoltà avventista di teologia di Firenze, e Vladimir Laiba, protopresbitero della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia. Dire Gesù oggi – ha detto Laiba – «non significa elaborare una strategia, ma rispondere a una domanda fondamentale sul nostro stesso essere: siamo disposti ad abbandonare la sicurezza del nostro io individuale per entrare, al seguito di Cristo, nella “Roma” della pluralità culturale, non per conquistarla, ma per essere, se necessario, “crocifissi di nuovo” per amore dell’altro? La questione non è “che cosa fare?”, ma “come esistere”?».

La sessione di formazione ecumenica del Sae, tuttavia, non è solo studio ma è anche preghiera che segna il ritmo delle giornate: celebrazioni ecumeniche, Eucaristia, Santa Cena, Vespro: padre Sergej Tikhonov al termine del Vespro ortodosso celebrato nella chiesa del Monastero, ha potuto dire: «Io credo che in questi primi giorni qui a Camaldoli una delle parole chiave che abbiamo sentito e vissuto sia stata quella della gioia. Gioia di accogliere il Signore, di vivere in sintonia con i fratelli e le sorelle, di compiere le nostre azioni con gioia. Gioia è anche una parola chiave per questo bellissimo inno che abbiamo cantato (Fos ilaron – Luce gioiosa), un inno molto antico della Chiesa cristiana d’Oriente alla seconda persona della santissima Trinità che viene innalzata. Dice un altro modo di manifestare la nostra fede nel Dio uno e trino».