La Buona novella. Quale energia?
La rubrica della redazione dedicata alle buone notizie
Gli accordi di Parigi sul clima del 2015 (Cop21) stabilivano, oltre al contenimento del riscaldamento globale a 1,5° C e al raggiungimento delle “emissioni nette zero” entro il 2050, l’abbandono “graduale” (ma comunque entro il 2030) del carbone come fonte energetica, in quanto una delle principali fonti di emissioni di gas serra. Sono passati dieci anni, si sono tenute dieci altre Cop, e oggi… qualcuno pensa addirittura di rilanciarlo, il carbone.
In Italia è prevista la chiusura (o riconversione al gas) entro il 2025 di due delle quattro centrali ancora aperte (quella di Monfalcone, Gorizia, ha smesso di funzionare a gennaio), Brindisi e Civitavecchia (di fatto già inattive), e nel 2027-28 le due sarde di Sulcis e Fiume Santo. Ma aleggia a livello governativo (ministro dell’Ambiente), sostenuta dagli imprenditori dell’energia, l’ipotesi di un periodo di stand-by per le prime due centrali, affinché possano essere riattivate in caso di emergenza energetica.
La Germania, così come la Polonia, è ancora molto legata a questo combustibile fossile, che nel nostro Paese non è mai stato rilevante (nel 2023 produceva il 6% dell’energia), ma sono già 15 i Paesi europei ad aver detto addio al carbone; l’ultimo, il 20 giugno, è stata l’Irlanda, chiudendo l’ultimo impianto rimasto attivo, quello di Moneypoint, costruito negli anni ’80 per fare fronte alla crisi petrolifera del decennio precedente. A dirla tutta, continuerà a funzionare come impianto di emergenza, utilizzando olio combustibile pesante, un derivato del petrolio. Inoltre, è prevista l’installazione di centrali a gas per far fronte all’enorme (e crescente) fabbisogno energetico dei data center… Quindi, bene ma non benissimo…