
Résister. Pelicot da Nobel
L’appuntamento di marzo con la nuova rubrica di Riforma, dedicata alle donne che resistono
In rete circola una petizione che chiede di candidare al premio Nobel per la Pace Gisèle Pelicot, la donna francese che ha denunciato il marito, condannato all’ergastolo per averla fatta stuprare per nove anni da ottanta uomini di età compresa fra 21e 68 anni. Non sarebbe la prima volta che un Nobel per la Pace viene attribuito a qualcuno che si è esposto contro la violenza sessuale: nel 2018 è andato all’attivista yazidi Nadia Murad e al «medico che ripara le donne», il ginecologo congolese Denis Mukwege, che ha accolto e curato nel suo ospedale centinaia di donne vittime degli stupri di guerra.
Gisèle Pelicot è stata nominata personaggio francese del 2024 e il Financial Times alla fine del 2024 l’ha inserita fra le 25 donne che hanno saputo rendere il mondo un posto migliore. Insomma, a 71 anni, Pelicot è già un’icona femminista della lotta contro la violenza sessuale.
Se il comitato del Premio Nobel scegliesse Gisèle Pelicot, la sua candidatura (per non parlare di un’eventuale vittoria) avrebbe un grande significato politico e sociale, perché renderebbe evidente che la brutalità della violenza maschile può manifestarsi ovunque, anche nel matrimonio e anche nel cuore dell’Europa. Non solo: renderebbe omaggio al coraggio di una donna che ha spalancato le porte del tribunale dove si svolgeva il processo e ha raccontato la sua storia a viso aperto, rifiutando l’anonimato e facendo così a pezzi lo stigma della vergogna che continua ad essere appannaggio delle vittime.
«La vergogna – ha detto Gisèle Pelicot al mondo – è di chi mi ha violentato, non mia: tutte possiamo uscire dal silenzio». E tutte e tutti dobbiamo uscire dal cliché che rappresenta la violenza di genere come un evento eccezionale, mentre è radicata in una cultura patriarcale che attraversa la società ed entra nelle nostre famiglie; una realtà che oggi chiede ad ogni uomo un atto di denuncia e di cambiamento. Un atto di consapevolezza e di coraggio, sull’esempio di quello mostrato da Gisèle Pelicot.
«Prigione femminile dal 1730, la Torre di Costanza in Francia ospitò 88 donne colpevoli di non voler abbandonare la fede protestante. Marie Durand, incarcerata nella Torre per 38 anni, incise o fece incidere la parola résister, resistere».