Virtual Influencer

Oggi è facile imbattersi in influencer, modelle, cantanti, del tutto virtuali, inesistenti che vantano numeri di seguaci (follower) impressionanti. Il libro di Davide Sisto ci racconta bene questo fenomeno. La presentazione oggi alla Claudiana di Torino alle 18

 

Sebbene a volte si definiscano «robot» i virtual influencer si differenziano nettamente dai robot umanoidi: «la loro materia non è fisica ma solo digitale, olografica o – in senso lato – virtuale. Sono sciami di bit, non insiemi di cavi e di tubi metallici. Non li possiamo, quindi, mai toccare. I loro corpi non fanno ombra, la loro esistenza non oltrepassa i bordi degli schermi. Sono privi di patrimonio genetico e si nutrono esclusivamente di energia elettrica e connessione a internet, senza cui si dissolverebbero come neve al sole. È difficile distinguerli dagli influencer umani, anche perché si comportano esattamente allo stesso modo, mimetizzandosi perfettamente. Uno di quei casi in cui l’allievo digitale supera il maestro reale. E sui social network si contano ormai a centinaia», ricorda Davide Sisto nel suo libro «Virtual Influencer – Il tempo delle vite digitali», dato alle stampe per Giulio Einaudi Editore.

 

Il volume sarà presentato oggi pomeriggio alle 18 preso la libreria Claudiana di Torino (Via Principe Tommaso, 1) con l’autore.

Un viaggio nel mondo virtuale, concepito da molti come reale, ricorda Sito nel suo interessante volume: «Durante la pandemia siamo stati testimoni dell’incremento di attività da parte di alcuni progetti online piuttosto particolari: per esempio, il sito web Virtual Humans e gruppi Facebook e Instagram come Virtual Beings. Ispirati dall’imponente Digital Beauties, catalogo d’arte curato da Julius Wiedemann, il quale include centinaia di modelle digitali dai tratti più o meno erotici create in 2D e 3D a fine Novecento, questi progetti già da diversi anni sono impegnati a seguire le evoluzioni delle entità virtuali».  

La rete, infatti, è un serbatoio di informazioni, soprattutto nostre, elargite con facilità emotiva alle “nuvole” digitali e senza riserve. Ogni nostra informazione, ogni nostro “scatto”, grazie all’utilizzo di algoritmi e analisi, diviene nutrimento per la rete: «In definitiva – afferma Sisto, questi dati –, sono la persistenza e la continuità temporale delle narrazioni, tramite cui viene rappresentata una personalità all’interno della rete, a diventare l’unico requisito fondamentale. Poco importa la materia, naturale o artificiale, di cui è composta questa personalità».     

 

Oggi è facile imbattersi in personaggi, influencer, modelle, cantanti, del tutto virtuali, dunque di fatto inesistenti, che però vantano numeri di follower (seguaci) del tutto impressionanti. Le più note, ricorda Sisto, sono Lil Miquela, giovane “sbarazzina” di “sinistra” dai capelli scuri e lentiggini, che ricorda pippi calze lunghe con colori diversi, e che nei suoi post non dimentica mai ad esempio di ricordare il Martin Luter King Day. E ancora, la sua antagonista Bermuda, una Barbie che inneggia a Trump. Modelle sexy, tifose di calcio virtuali, ma anche salsicce animate e parlanti spopolano sul web. 

Che succede? Succede che l’esito della memorizzazione e della generalizzazione di svariate tracce umane fa sì che, ogni virtual influencer (figure utilizzate anche da note industrie fashion per essere testimonial di veri propri spot pubblicitari mondiali) disponga infatti «di un nome, di un cognome, a cui sono stati associati degli stili, una nazionalità, un’età e una identità, riconoscibili. Con storie, esperienze vissute inserite in contesti sociali e culturali. Il tutto – ricorda Sisto – pianificato a tavolino, in modo da permettergli di interagire sia con gli esseri umani sia con i suoi simili, sviluppando simpatie e antipatie, affinità e divergenze, amicizie e relazioni sentimentali».   

L’ umanità, dunque, sembrerebbe resistere in qualche modo.

 

L’intelligenza artificiale ha però amplificato questo fenomeno, se prima era possibile accorgersi delle manipolazioni grafiche, oggi è quasi impossibile. Nuove virtual influencer, come Emily Pellegrini, sono del tutto verosimili, per sembianze estetiche, a un essere umano. Ovviamente, la perfezione del corpo, dei lineamenti della modella virtuale indicano di trovarsi di fronte ad un personaggio artefatto. 

Il Covid 19, come ricorda l’autore, ha reso la tecnologia indispensabile e il suo utilizzo ha avuto uno sviluppo rapido, inesorabile. Le nostre vite sono diventate dei bit informatici, le nostre abitudini e le nostre immagini sono disponibili, vivono nell’agorà digitale, dunque vengono quotidianamente catalogate, selezionate, valutate da potenti network informatici, social network. I cloud ci restituiscono ogni giorno la possibilità di rivedere le nostre vite, private, le nostre storie famigliari, i nostri viaggi, informazioni e immagini debitamente selezionate, spesso già montate come un film e accompagnate da musiche adeguate ai momenti emotivi della nostra vita. Luoghi virtuali dove è possibile vedere e ascoltare anche chi nelle nostre vite non c’è più.  

Viviamo in un mondo in piena evoluzione. 

 

Oggi pomeriggio sarà l’occasione giusta (per chi potrà esserci, e tra il serio e il faceto), per poter parlare di una realtà inesorabile e ancora poco conosciuta, una realtà altra, virtuale, del tutto simile a quella distopica raccontata da Black Mirror, la serie televisiva britannica divenuta di tendenza. 

Un mondo che però, lentamente (forse anche subdolamente?), sta conquistando gli interstizi più intimi della nostra vita.