Furio Colombo, fra giornalismo e politica

È morto ieri a 94 anni un intellettuale fra i più lucidi nel raccontare i nostri tempi. A lui dobbiamo l’istituzione della Giornata della memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti

 

«L’assenza di risposte politiche adeguate alla questione migratoria, esasperare la presenza dello “straniero cattivo” sui mezzi di comunicazione, favorire un generale senso di disagio e paura sociale, ignorare in maniera sistematica ogni proposta di buon senso in materia di accoglienza. Tutte queste azioni non vanno lette come tristi caratteristiche di un singolo governo nazionale, ad esempio il nostro, ma sono il frutto di un disegno di portata internazionale, una ragnatela tessuta da soggetti come Steve Bannon, il losco consigliere di Donald Trump, impegnato a finanziare i movimenti di estrema destra, soprattutto in Europa. Non è il solo, basti pensare a tutti i sospetti che circondano la Russia di Putin e il ruolo tenuto da Mosca nelle elezioni di mezzo mondo, a partire da quelle americane».

 

Era il 2018 e così il giornalista Furio Colombo, scomparso ieri all’età di 94 anni, raccontava a Riforma la sua visione sul fenomeno migratorio in atto, da lui raccontato e smontato pezzo per pezzo nelle varie bugie main stream nel libro “Clandestino”, fortemente voluto proprio per smentire le affermazioni in materia che andavano e vanno ancora oggi per la maggiore. 

Come smontare dunque queste narrazioni, queste tendenze, chiedevamo a Colombo: «Con i numeri. Ripetuti, spiegati, sono il migliore antidoto possibile. Certo serve una classe politica e dirigenziale capace di offrire alternative, capace di capire il mondo e fornire ai problemi delle risposte che diano speranza, visione. Le sinistre invece, per inettitudine o per dolo, sono cascate spesso nel tranello, scimmiottando il peggio delle politiche muscolari, con il solo risultato di contribuire anch’esse alla costruzione di un mondo che non esiste. Ripeto, le reazioni “di pancia” sono solo la manifestazione ultima e esteriore di uno stimolo indotto dall’alto. Non avere strumenti e capacità di contrastarle sono invece una colpa delle nostre classi dirigenti progressiste».

 

Fra le alternative alla criminalizzazione c’è certamente un’integrazione reale, che può passare dal riconoscimento della cittadinanza delle persone che in Italia vivono da anni. Colombo era stato fra i primi firmatari di un appello che chiedeva al presidente della Repubblica e ai presidenti di Camera e Senato e ovviamente a tutti gli italiani «di essere saggi, generosi e lungimiranti e di sostenere la legge che concede la cittadinanza per jus soli, diritto del suolo».

 

«L’Italia non è razzista ma oggi è spaventata – commentava Colombo in quell’occasione, sempre dalle colonne del nostro giornale- . Paure indotte, così come è spesso indotto il sentimento di razzismo. E gran parte della colpa, purtroppo, la possiamo imputare proprio ai media che sempre più spesso decidono di dipingere, illustrare il nostro paese utilizzando argomenti legati al razzismo e all’intolleranza; così facendo emerge l’Italia peggiore, falsificandone la reale immagine. Una scelta mediatica che spesso condiziona anche gli atteggiamenti sociali e dove una grande fetta della società non ha voglia di sentirsi individuare “nella parte sbagliata” e silenziosa e senza posizionarsi, assiste all’evolversi quotidiano degli eventi. Una condizione che, se persisterà, resterà come una macchia indelebile da registrare nella storia della nostra Repubblica».

Come ricorda il sito Moked, classe 1931, nato in una famiglia ebraica a Chatillon, in Valle d’Aosta, Colombo è stato il promotore dell’istituzione del Giorno della Memoria (Legge numero 211 del luglio 2000). Rientrato dagli Stati Uniti dopo una lunga carriera da corrispondente e dopo aver lavorato con Philip Roth per rendere nota negli Usa l’opera di Primo Levi, raccontò come quest’ultima esperienza fu determinante per immaginare un Giorno della Memoria. Approfondire la Shoah attraverso i capolavori di Levi lo spinse a interrogarsi sul ruolo dell’Italia durante quel periodo oscuro. 

 

Il libro consigliato da Riforma.it (non recente – uscito nel 2007 – ma profetico e attuale) tra i tanti pubblicati dall’autore.

Post giornalismo, notizie sulla fine delle notizie per Editori Riuniti.

 

Furio Colombo riflette sullo stato del giornalismo italiano «bruciato» dalle pesanti interferenze politiche e dalle imprese editoriali sempre più coinvolte o spinte in progetti e interessi estranei all’editoria, e anzi in contrasto con essa. Introduce la definizione di «post giornalismo», ovvero di un’epoca segnata da notizie che non nascono dalla realtà dei fatti, ma da decisioni o esigenze di centri di potere che guidano la parabola delle notizie e ne decidono la scomparsa. Il meccanismo perverso di spettacoli detti talk show amplifica e impone nascita, sviluppo, dominio e cancellazione di notizie artificiali o nate dalla deformazione dei fatti fino a ridurli al materiale desiderato. È una storia dei nostri giorni, che spiega l’impressione di disorientamento e di caos che tormenta i cittadini e toglie fiducia agli elettori.

 

Qui invece l’intervista ( interv Colombo) che Avernino di Croce e Claudio Geymonat realizzarono con Furio Colombo all’indomani della strage nella clinica per disabili di San Bernardino in California che aveva riportato in prima pagina per l’ennesima volta il tema del terrorismo di matrice islamica. A questo aspetto però si deve necessariamente aggiungere la peculiarità tutta statunitense della grande diffusione delle armi, con tutte le ovvie implicazioni del caso.

Per la casa editrice Claudiana Colombo aveva pubblicato il libro “Il Dio d’America”

 

 

 

 

 

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