Il “sempre” di Dio
Un giorno una parola – commento a Deuteronomio 5, 29
Il Signore dice: «Oh, avessero sempre un simile cuore da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, affinché venga del bene a loro e ai loro figli per sempre!
Deuteronomio 5, 29
Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri
Giovanni 13, 34-35
La tensione tra l’eternità divina e la temporalità umana emerge con particolare forza in Deuteronomio 5, 29, dove l’avverbio “sempre” si erge come un ponte impossibile tra due nature profondamente diverse. Da un lato abbiamo Dio, l’essere del “sempre”, dall’altro l’essere umano, creatura dell’intermittenza, il cui cuore oscilla come un pendolo tra fedeltà e distrazione, tra amore e dimenticanza.
Questa intermittenza del cuore umano non è solo una debolezza, ma paradossalmente definisce la nostra stessa umanità. Il nostro cuore, centro morale e spirituale secondo la tradizione veterotestamentaria, pulsa con un ritmo alternato: si avvicina e si allontana, ama e dimentica, promette e tradisce. È proprio questa natura oscillante che rende tanto più significativa l’aspirazione al “sempre” divino.
Ne emerge pertanto un paradosso: la legge dell’amore, che sembra un ossimoro, una giuridizzazione dell’ineffabile, diventa invece il punto di contatto tra la natura divina e quella umana.
La promessa di un “cuore nuovo” (Ezechiele 36, 26) suggerisce che la trasformazione è possibile, non attraverso uno sforzo puramente umano di adempiere tutti i comandamenti – impresa impossibile anche per il più pio degli israeliti – ma attraverso un intervento divino che rinnova la natura stessa del cuore umano.
Il versetto diventa così non tanto un’impossibile richiesta di perfezione quanto una promessa di trasformazione. Il “sempre” divino non è un peso schiacciante ma un orizzonte verso cui tendere, non una legge che condanna ma una promessa che eleva. La felicità come destino dell’uomo non è quindi in contraddizione con la “valle di lacrime” della nostra esperienza quotidiana, ma ne è il superamento promesso.
In questa prospettiva, la “legge dell’amore” non è più una contraddizione ma una sintesi superiore, dove la legge trova il suo compimento nell’amore e l’amore trova la sua forma nella legge. Il cuore intermittente dell’uomo, attraverso questa legge-amore, può aspirare al “sempre” di Dio, non negando la propria natura ma trasformandola attraverso la grazia. Amen.