Fede e società in cinquant’anni di «Protestantesimo»

Il libro curato da Marco Davite per la Fcei ripercorre nascita e tappe della trasmissione televisiva

 

L’8 gennaio 2023 una puntata di Protestantesimo era stata dedicata ai 50 anni della rubrica e nel corso del Convegno della Società di Studi valdesi, a settembre, una serata in Aula sinodale a cura di Paolo Naso aveva proposto estratti da alcune delle puntate più significative. Poi c’è stata l’Assise della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), nell’ottobre scorso: in una serata dedicata all’argomento è stato presentato il libro di cui qui parliamo*.

 

La rubrica quindicinale era andata in onda per la prima volta nel gennaio del 1973 su Rai2 in un anomalo orario intorno alle 18. Da allora Protestantesimo ha subito più variazioni di collocazione oraria e si è accasata a Rai3, nell’area culturale invece che fra le trasmissioni a carattere religioso. Un passaggio in chiaroscuro. Quando si parla di informazione religiosa, in Italia, abbiamo ancora oggi la percezione che ne esistano due grandi accezioni: l’informazione sulla chiesa di maggioranza, da un lato; e poi tutti gli altri, a latere. Ma anche il carattere “culturale” non rende ben conto di che cosa sia una fede religiosa: grande è il rischio di adattarci a una visione storica, di mera rievocazione, ancorché a livelli scientifici di eccellenza, oppure etnografica. Il libro invece racconta proprio i molti terreni su cui si mosse questa scommessa, al tempo stesso risultato e occasione di una nuova consapevolezza del proprio esistere: la prima puntata che ricordo di avere visto all’età di 11 anni, nel 1973, consisteva nella narrazione di un culto alla chiesa metodista di Savona. Credenti in ascolto e in preghiera in un locale di culto: perché non dirlo al Paese?

 

Marco Davite, narrando egli stesso, ma anche riunendo scritti diversi (cronologie, interviste, schede biografiche, interventi dei protagonisti: autori, registi, conduttori, caporedattori, da Aldo Comba a Giovanni Ribet, Renato Maiocchi, Gianna Urizio, Paolo Naso) ci propone i vari aspetti di questa avventura: innanzitutto quello uno normativo-istituzionale, e quindi anche politico. Ci furono allora circostanze che permisero questo passo, impossibile in altri momenti: ma la costruzione del rapporto fra RAI e Fcei non era scontata, tanto che la tesi di laurea in Giurisprudenza di Renato Maiocchi ha proprio il titolo Il servizio pubblico radiotelevisivo e gli evangelici.

 

Poi c’è l’eterna questione delle tematiche: devono essere pensate come rivolte verso l’esterno, o devono mantenere una loro validità anche all’interno delle chiese evangeliche? Un elemento di splendida inattualità balza agli occhi, ed è riportato graficamente nelle pagine finali: nessuno penserebbe, oggi, di riportare sulla prima pagina del giornale delle chiese evangeliche (all’epoca La luce) il testo integrale di un intervento pronunciato nel corso di una trasmissione tv. Avvenne con quello di Paolo Ricca, pastore a Torino, centrale nella prima puntata, pubblicato con il titolo «Al servizio della Parola di Dio». Tema fondativo, anche oggi, per una minoranza religiosa che può dire molto al Paese, ma che al tempo stesso non si stanca di ripetere a sé stessa i motivi del proprio esistere. Ecclesia semper reformanda significa anche questo. Anche perché la voce delle chiese evangeliche che emerge da Protestantesimo non è una voce unica, ma corale, e lo è perché le persone che vi hanno lavorato hanno continuamente rimesso in discussione le linee operative, come ha ben illustrato Gianna Urizio proprio all’Assise: «l’équipe che ha realizzato la rubrica, via via cambiata nel tempo, si è continuamente ri-progettata, lavorando sempre in gruppo, come all’inizio (c’era una redazione ma c’era anche un comitato che univa le risorse di professionisti della comunicazione e anche evangelici impegnati nelle chiese e anche nella società)».

 

Proprio questa esigenza di aggiornamento continuo scaturisce dalle pagine del libro, perché «la televisione non sta ferma, cambia nei linguaggi, nelle tematiche, ma anche nella ricerca di nuovi format, e dipende anche dall’evoluzione della tecnologia, fattasi quanto mai rapida in questi almeno ultimi 20 anni». A livello tematico, invece, la trasmissione si caratterizza per un «intreccio tra fede e società che è diventato via via più esplicito. Non ci siamo chiusi nel nostro confessionalismo, nelle nostre chiese, nelle nostre tradizioni ma, per esempio, la storia di una pastora diventava anche la storia di un paese d’Abruzzo e l’interazione tra fede protestante e i problemi che si manifestavano in quegli anni come l’immigrazione… Da una corale poteva emergere il problema operaio in una valle… Un percorso che negli anni direi è  stato sempre più elaborato ed è diventato sempre più esplicito: essere testimoni di Gesù Cristo nella società in cui si vive», estendendo il proprio raggio d’azione al protestantesimo mondiale, nella direzione che – ricorda P. Naso – Giorgio Spini individuava come «capacità della Riforma protestante e delle sue idee di incidere nella costruzione di nazioni indipendenti dall’impero e nella propagazione di una nuova cultura teologica centrata sulla Bibbia e i valori della libertà e della responsabilità».

 

* M. Davite, (a c. di), Dalla pellicola al digitale. Cinquant’anni di presenza evangelica nel servizio pubblico radiotelevisivo. Roma, Fcei, 2024, pp. 180, s.i.p.