Rispetto: un’indicazione non solo morale
La parola Treccani che chiude l’anno 2024
L’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani indica ogni anno una parola “da salvare”. Per il 2024 ha indicato “rispetto”: una scelta che ha portato diversi commentatori a individuare tutte quelle categorie e situazioni in cui risulta palese che siamo deficitari. In svariate occasioni, infatti, non abbiamo rispetto: non ce l’abbiamo nei confronti della natura, dei nostri simili, né abbiamo rispetto per l’autorità. E neppure per la convivenza sulle strade, tanto che si è reso necessario aggiornare massicciamente le norme del Codice. Sono in genere osservazioni giuste, che però si fermano in superficie. Prima di fare osservazioni morali (che pure sono giustificate da uno stato di cose in cui prevalgono la sfrontatezza, l’arroganza, l’approssimazione), cercherei da andare un po’ ad fontes, per capire che cosa significa la parola in questione.
Si scopre così, con l’autorità del dizionario “Georges-Calonghi” che utilmente ha appesantito le cartelle di eserciti di studenti, che respectus è: “guardare con stima”; questo è il sostantivo; ma vediamo anche che respectum è participio passato di respicere, verbo che significa riguardare, guardare di nuovo, voltarsi per guardare, addirittura “ripensare”. Se andiamo ai significati traslati, addirittura: considerare, riflettere su, prendersi cura… Non è solo un’azione necessaria nella pratica quotidiana, da esercitare per muoversi con buona creanza ed evitare guai o brutte figure; rispetto è un modo di essere, è renderci consapevoli che ci troviamo di fronte al nostro prossimo, riconoscendolo come tale. Si tratta di guardare oltre e al di là di noi stessi, e di prendere atto che il mondo non si ferma alla nostra persona.
Per dirla con un tono più elevato, è una condizione che nel nostro vivere quotidiano ci pone a confronto con l’alterità: altre persone, altre forme di vita; addirittura un “Dio totalmente altro”. Se non si compie questa distinzione, continuiamo a vedere solo noi stessi, e tutt’al più facciamo una mistura fra noi e quel poco che generosamente riteniamo di poter cogliere dalle persone e dalla realtà che abbiamo di fronte. Come se queste servissero soltanto a… completarci.
C’è un esempio illustre, nel cap. 2 dei Demonî di Dostoevskij, dove si rievoca gli anni in cui Stepan Trofimovic Verchovenskij era stato precettore di uno dei futuri protagonisti, Nikolaj V. Stavrogin, che all’epoca era intorno agli otto anni d’età. Viene narrato che il precettore, carico dei propri problemi, trattava il ragazzo come se quest’ultimo fosse un “pari età”, confidandosi con lui, come se avesse potuto venire in soccorso ai dubbi di un adulto. Forse la vita di Stavrogin sarebbe stata destinata a diventare cupa anche a prescindere da questo episodio, ma l’atteggiamento del precettore era sbagliato. Adulti e ragazzi possono intrattenere scambi fecondi di sentimenti e di intelligenza proprio a partire dal riconoscimento della distanza e delle diversità che li separano.
Saper tenere una distanza significa mettersi di fronte all’altro o all’altra, trovare e riconoscere un interlocutore, fidarsi reciprocamente. Una mano tesa o uno scambio di vedute per risolvere un problema possono essere decisivi proprio perché vengono dal concorso di entrambi. Diversamente si rischia di proiettare su chi ci sta di fronte la nostra stessa visione, e questo, quando va bene, non serve a molto. Quando va male, può provocare investimenti eccessivi e fraintendimenti, anche guai seri.
Dunque, riconoscere che c’è una realtà al di fuori di noi, oltre, dinanzi a noi. Quando Mosè parla al popolo in nome di Dio, verso la conclusione del Deuteronomio, dice: scegli la vita, «affinché tu viva, tu e la tua progenie»; e il popolo può scegliere perché la vita e la morte, il bene e il male, gli sono stati posti dinanzi (Deut. 30, 19). Ecco, riconoscere che dinanzi a noi c’è qualcuno, qualcosa, che non ci siamo solo noi e le nostre idee in cerca di conferma, servirebbe a incanalare i rapporti in una prospettiva più produttiva. Dal punto di vista operativo, prima di qualunque moralismo. Possiamo provarci?