Il “corpus unitario” dell’Antico Testamento

Il concetto di teologia applicato alla Bibbia nel recente libro di Konrad Schmid 

 

Verso la fine del secolo scorso, dopo già molti anni di attività pastorale e di predicazione, mi sono reso conto che ciò che avevo studiato in Facoltà non era più sufficiente, soprattutto per affrontare l’Antico Testamento. Eppure non credo di essere stato disattento o un semplice ripetitore di quanto imparato in precedenza. Soprattutto non mi ero mai accontentato di una lettura “ingenua” o addirittura letteralista dei testi, come ancora si sente in molte predicazioni. Mi appoggiavo piuttosto a una analisi storico-critica che applica alla Bibbia i metodi di lettura dei testi antichi, cercando di diventare contemporanea di coloro che l’hanno scritta per comprenderne il pensiero. Questa analisi è certamente profonda; ha però un difetto: essa rischia di rendere il testo biblico, così ampio e variegato, un po’ come uno specchio rotto, che riflette piccole parti della realtà, non riuscendo a coglierla nella sua interezza.

 

Poi, nel tempo mi sono dovuto confrontare col fatto che gli studi nel campo delle materie bibliche avevano subito un’accelerazione incredibile. Tutto ciò è stato favorito (o forse reso necessario) dalle scoperte archeologiche avvenute nella seconda metà del secolo scorso che hanno svelato scenari insospettati, per quanto sia riguarda la storia del popolo di Israele sia quella dei popoli circostanti: nuove testimonianze, nuovi testi, nuove evidenze.

 

Di particolare importanza è la convinzione che l’Antico Testamento (o la Bibbia ebraica, come si tende a dire oggi), così come lo conosciamo è, per dirla in breve, un sapiente assemblaggio di testi antichi e meno antichi, avvenuto dopo la caduta di Gerusalemme del 598/587 a.C. che ha determinato l’esilio in Babilonia e il successivo impero persiano. Questa fondamentale esperienza storica del popolo ebraico, che è stata vissuta come un trauma e ha rivoluzionato la spiritualità e la fede di Israele, deve dunque diventare il punto da cui osservare lo sviluppo dell’intero messaggio veterotestamentario.

Su queste nuove strade ci guida oggi questo libro di Konrad Schmid, professore di Antico Testamento e Giudaismo antico presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Zurigo. Con una necessaria avvertenza: non si tratta di un livre de chevet, un libro da leggere a letto prima di addormentarsi. È un testo di studio che richiede la necessaria applicazione.

 

L’autore si pone innanzitutto il compito di chiarire dal punto di vista storico il concetto stesso di teologia applicato alla Bibbia; quindi, discute le diverse tradizioni delle Bibbie ebraiche e in quale ordine i diversi libri biblici siano giunti fino a noi (per quanto possa sembrare strano o di poca importanza, l’ordine dei libri dimostra una differente comprensione dei testi), per poi analizzare il carattere teologico dei libri e delle raccolte dell’Antico Testamento sulla base di concetti di particolare rilevanza: la percezione di Dio e i suoi effetti, la creazione, il rapporto di Dio con la storia, il culto e la dimensione umana di fronte a Dio – e altri.

 

Non possiamo certo, in queste poche note, affrontare tutti i temi trattati nel libro, che è una vera miniera di informazioni e che ci aiuta, come detto, ad assumere una nuova postura di fronte al testo biblico. Ma poiché di solito, quando si parla di analisi critica o storica dei testi, nasce immediatamente l’obiezione che così facendo si uccide la fede, preferisco raccogliere il senso di questo lavoro in una citazione. Scrive Schmid: «Qualunque cosa si dica su Dio, dal punto di vista religioso o teologico, non può avere la pretesa di essere un’affermazione definitiva, dovendo limitarsi a restare provvisoria. In definitiva, dal punto di vista della creatura, il Creatore rimane inaccessibile. Questo vale anche per la Bibbia che contiene testimonianze di esperienze umane relative a Dio e verità celesti non rivelate direttamente. Pur salvaguardando la diversità interna dell’Antico Testamento, tuttavia sussistono connessioni notevoli che, nel corso della stesura della Bibbia ebraica o dell’Antico Testamento, resero tale corpus un corpus unitario» (p. 422). Del resto, Lutero si esprimeva in modo simile: ««Due cose diverse sono Dio e la Scrittura di Dio, non meno che due cose diverse sono il Creatore e la creatura».

 

A noi dunque sta il compito, sempre impegnativo, di studiare approfonditamente la Parola, senza accontentarsi delle soluzioni più facili e lasciandosi mettere in questione da essa, accogliendola per fede. Rimane attuale e profondo l’insegnamento del prof. Vittorio Subilia che, parlando del Nuovo Testamento, affermava: «Un continuo riesame critico, un continuo ritorno al messaggio del Nuovo Testamento nella pienezza delle sue componenti fondamentali, un costante e vigile confronto, inquieto eppure fiducioso, con la parola evangelica che ci è stata trasmessa ed in cui siamo chiamati a “dimorare” con la perseveranza dei santi, guidati dalla ricerca del solus Christus, ci salva dal rischio dell’eresia nel senso di spirito e fanatismo settario … Non è possibile comprendere il Sola Scriptura se lo si disgiunge dal Sola Fide e dal Sola Gratia» (“Sola Scriptura”. Autorità della Bibbia e libero esame, Claudiana, 1975, p. 169). Questo vale, ovviamente, anche per l’Antico Testamento che noi dobbiamo ascoltate come una potente sinfonia che, con suoni e tonalità differenti, testimonia dell’amore del Creatore per la sua creatura.

 

 

* Konrad Schmid, Teologia dell’Antico Testamento. Torino, Claudiana, 2024, pp. 491, euro 48,00.