La democrazia resiste alla legge marziale in Corea del Sud
La Corea del Sud, oggi più che mai, ha dimostrato che la democrazia non è solo un sistema politico, ma un impegno quotidiano per proteggere diritti e libertà.
La Corea del Sud è stata scossa nella notte del 3 dicembre, quando il presidente Yoon Suk-yeol ha dichiarato la legge marziale con la giustificazione di «sradicare completamente le forze anti-statali filo-nordcoreane e proteggere l’ordine costituzionale liberale». Questo evento, senza precedenti dalla democratizzazione del 1987, ha richiamato alla memoria il colpo di stato del 1979, guidato da Chun Doo-hwan. Nonostante le similitudini nei tentativi di centralizzare il potere, la risposta immediata della società e delle istituzioni nel 2024 ha segnato una svolta rispetto alle esperienze passate.
Immediatamente dopo la dichiarazione della legge marziale, truppe militari sono state dispiegate intorno al Parlamento coreano, con alcune che hanno tentato di entrare nell’edificio principale. Tuttavia, il Parlamento ha reagito rapidamente, approvando all’una del mattino del 4 dicembre, con il voto unanime di 190 parlamentari, una risoluzione per l’immediata revoca dello stato d’emergenza. Alle 4,30, il presidente Yoon ha annunciato la fine della legge marziale, che è durata complessivamente solo sei ore.
Il ricordo del colpo di stato del 1979, invece, riporta a una Corea del Sud molto diversa. In quell’occasione, Chun Doo-hwan e il suo gruppo militare avevano sfruttato il vuoto di potere seguito all’assassinio del presidente Park Chung-hee per consolidare il controllo politico. La legge marziale venne ampliata nel maggio 1980 portando alla brutale repressione del Movimento di Democratizzazione di Gwangju. In quel contesto, la mancanza di una società civile organizzata e l’assenza di una solida opinione pubblica avevano permesso al regime di perpetrare violenze e consolidare il potere senza opposizioni significative.
Nel 1979 il Parlamento era rimasto paralizzato sotto il controllo del regime; invece il 2024 ha mostrato una Corea del Sud con Istituzioni più mature e resilienti. La rapida approvazione della risoluzione parlamentare per la revoca dello stato d’emergenza è stata una vittoria per la democrazia. Questo risultato sottolinea un cambiamento significativo rispetto al passato, dimostrando come le istituzioni democratiche abbiano guadagnato forza e legittimità.
Anche la società civile ha risposto in modo radicalmente diverso. Nel 1980, il Movimento di Gwangju fu uno sforzo eroico ma isolato, limitato nella sua capacità di opporsi al regime militare. Nel 2024, le proteste si sono diffuse rapidamente in tutto il paese, grazie a piattaforme social e strumenti digitali. Giovani attivisti e organizzazioni civili hanno mobilitato milioni di cittadini, dimostrando un livello di consapevolezza democratica senza precedenti.
Le comunità cristiane, come in passato, hanno giocato un ruolo chiave nella crisi. Durante il colpo di stato del 1979 e negli anni successivi, le chiese sudcoreane erano diventate centri di resistenza democratica, sostenendo il Movimento di Gwangju e le lotte per la democratizzazione. Nel 2024, molte chiese hanno nuovamente preso posizione contro la legge marziale. Il National Council of Churches in Korea ha condannato duramente la decisione del presidente Yoon, definendola una minaccia alla giustizia e alla pace. Preghiere e veglie con fiaccolate si sono diffuse in tutto il paese, trasformando le chiese in luoghi di riflessione e resistenza. Tuttavia, come nel 1980, alcune fazioni cristiane più conservatrici hanno sostenuto il governo, giustificando la legge marziale come una misura necessaria per garantire la sicurezza nazionale. Questo riflette la divisione storica tra gruppi cristiani progressisti e conservatori in Corea del Sud.
La crisi del 2024 e il confronto con il colpo di stato del 1979 evidenziano sia i progressi della democrazia sudcoreana sia le vulnerabilità che persistono. Sebbene la legge marziale sia stata revocata rapidamente grazie alla pressione del Parlamento e della società civile, l’evento ha rivelato la mancanza di un sistema efficace per prevenire l’abuso dei poteri presidenziali straordinari. Criteri più chiari e meccanismi di responsabilità devono essere implementati per evitare che simili situazioni si ripetano.
L’esperienza del 1979 aveva dimostrato come l’assenza di una reazione coordinata potesse portare a decenni di autoritarismo. Il 2024, al contrario, segna una nuova fase in cui cittadini, istituzioni e organizzazioni civili lavorano insieme per difendere la democrazia. Tuttavia, la classe politica deve ascoltare attentamente queste voci, rafforzare la cooperazione tra partiti e ripristinare la fiducia nelle istituzioni. La Corea del Sud, oggi più che mai, ha dimostrato che la democrazia non è solo un sistema politico, ma un impegno quotidiano per proteggere diritti e libertà. Il confronto con il passato serve come monito: la vigilanza è essenziale per garantire che il paese non ritorni mai più alle ombre dell’autoritarismo.
Hanul Hong è membro della Chiesa metodista coreana di Roma
Photo: Marcelo Schneider/WCC
*