Regno Unito, verso una legge sul suicidio assistito?

Alcuni temono una deriva pericolosa, altri puntano il dito sugli investimenti per le cure palliative, troppo scarsi

 

Venerdì 29 novembre, alla Camera dei Comuni del Parlamento inglese, ha superato il primo passaggio, con un consenso trasversale (330 voti a favore, 275 contrari), il nuovo disegno di legge sul suicidio assistito. Ci vorranno ancora diversi mesi, e il passaggio alla Camera dei Lord, con possibili modifiche, prima che il “Terminally Ill Adults (End of Life) Bill” diventi eventualmente legge, e niente è scontato. Ma intanto ferve il dibattito.

 

Ne avevamo parlato qui citando la posizione preoccupata della Chiesa metodista, ma anche la sua volontà di non polarizzare il dibattito e puntare piuttosto su una migliore comprensione di un tema che riguarda tutti, ma è profondamente complesso.

Ora, all’indomani del superamento del primo step della discussione del “Terminally Ill Adults (End of Life) Bill”, si susseguono le dichiarazioni dei leader delle chiese. I più esprimono preoccupazione, sia per il rischio che la legge sia l’apripista per un’ulteriore “liberalizzazione” verso l’eutanasia, sia per la pressione che si teme porterà sui malati terminali e i medici.

 

Già alcuni giorni prima del voto, il 24 novembre, numerosi leader di diverse religioni (cristiani, ebrei, musulmani, indù, sikh…) si erano espressi in una lettera aperta (la si può leggere qui) in cui evidenziavano tra l’altro il timore che i più fragili siano sottoposti a indebite pressioni o che comunque, sentendosi un peso, siano portati a «porre fine prematuramente alle loro vite”». Ci sono anche i timori per «conseguenze non volute» (come già accaduto in Oregon e Canada) per esempio nei casi di donne vittime di abusi.

 

All’indomani della votazione, diversi vescovi della Chiesa cattolico-romana si sono dichiarati sgomenti e sperano che il disegno di legge, di cui temono alcune clausole particolari oltre a non condividere la linea di principio, venga bloccato nei passaggi successivi.

Anche da parte dell’Alleanza evangelica si sono levate voci contro la “normalizzazione del suicidio” e il rischio coercizione per persone già vulnerabili.

 

Anche da parte dei vescovi anglicani ci sono state dichiarazioni, ma qui le posizioni sono più diversificate e sfumate. Diversi di loro hanno manifestato preoccupazione per un possibile cambiamento dei rapporti tra Stato e cittadini, tra medici e pazienti, e all’interno delle stesse famiglie, ritornando sul tema della “china pericolosa”. Preoccupazioni anche su come la legge, se approvata, sarà messa concretamente in pratica.

 

Altri sono più possibilisti: la vescova di Londra, Sarah Mullally, per esempio (già firmataria della lettera sopra citata), con la sua lunga carriera nella sanità pubblica alle spalle in ambito infermieristico, ha visto il dibattito in Parlamento (in cui sono state portate anche toccanti testimonianze personali) con un occhio speciale, ricordando che la prima risposta di fronte al dolore dei malati terminali dovrebbero essere cure palliative di qualità, su cui occorre investire, mentre attualmente «il sistema sanitario, di assistenza sociale e legale è sovraffollato e sottofinanziato», come ha dichiarato subito dopo il voto.

Tra le poche voci dichiaratamente a favore, quella dell’arcivescovo George Cary (già arcivescovo di Canterbury), che ha rilasciato dichiarazioni al Times e al Sunday Express, richiamando innanzitutto la responsabilità dei membri del Parlamento nel garantire i diritti delle persone sofferenti, senza trionfalismi da un lato o «sporchi trucchi» dall’altro. Anch’egli ha sottolineato l’importanza che il governo investa nel miglioramento delle cure palliative e degli hospice.