Disarmare Napoli

L’appello viene dalle molte realtà associative convocate da “Libera”. È stato lanciato un grido d’allarme sulla violenza e sulla sua diffusione fra i giovanissimi. Dalle chiese evangeliche la richiesta di rimettere al centro il miglioramento delle relazioni

NAPOLI, piazza del Gesù – Nell’incontro pubblico convocato il 9 novembre da “Libera” ci sono anche il sindaco e diversi assessori. Non per parlare ma solo per ascoltare quello che le molte associazioni presenti hanno da dire su una criminalità che coinvolge e arma i giovanissimi. In poche settimane tre minorenni e uno appena maggiorenne sono stati uccisi in guerre tra bande o in giochi con le pistole. Appare chiaro che lo sgarro costato la vita a Pio Maimone (18 anni) lo scorso anno a Mergellina non era un episodio isolato ma uno stile criminale. In piazza ci sono bambini e ragazzi che hanno raccolto le loro scarpe in mezzo a un cerchio, con cartelli che dicono: “basta piangere” e “non vogliamo morire per una scarpa sporcata”. Brave le mamme e le educatrici che li portano a riflettere sui modi in cui i brand legati al predominio (scarpe di marca) legano la piccola criminalità allo sfoggio della ricchezza.

 

In piazza ci sono almeno 180 associazioni, dagli scout a chi gestisce doposcuola e centri giovanili, raccolte sotto la parola d’ordine “Disarmiamo Napoli”. L’incontro si apre con una lettera dell’arcivescovo che ha già preso posizione pubblicamente contro la logica delle armi, invitando i giovanissimi a scegliere la vita e a deporre le armi. Ci sono educatori delle carceri che raccontano come il famoso “decreto Caivano” non è utile se serve solo ad aumentare la repressione e le carcerazioni. Dal carcere non si esce migliori ma più incattiviti e decisi a prendersi il proprio posto di spicco nella criminalità di quartiere. Solo l’educazione può prevenire la repressione. Ci sono educatori che affiancano i dirigenti scolastici e sottolineano che l’educazione ha tempi lunghi, mentre una pistola spara in pochi minuti distruggendo le vite di vittime e carnefici. Padre Alex Zanotelli e altri del quartiere Sanità sottolineano la necessità di rafforzare i poli scolastici che per scelte amministrative incomprensibili sono stati depotenziati.

 

Nella piazza si chiede anche a gran voce che in aree urbane complesse come Napoli sia aumentata la presenza di assistenti sociali, il cui numero è veramente insufficiente per sostenere le famiglie in difficoltà con adolescenti che lasciano la scuola, magari prima con la testa e poi, dopo i 16 anni, anche fisicamente. Non li raggiungi più in nessun modo se non hai i maestri di strada o gli operatori sociali nei quartieri.

 

Si chiede a gran voce di non classificare i giovani coinvolti nelle sparatorie tra buoni e cattivi. Questa divisione crea solo un ghetto e getta nella spazzatura vite che invece hanno ancora un valore e un futuro e non meritano di essere abbandonate alla disperazione e alla criminalità.

Studenti e scout intervengono come chi fa parte della stessa generazione di chi è morto e di chi ha sparato. Chiedono spazi urbani di incontro, spazi verdi e biblioteche che mancano, e sostegno allo studio. O ci si salva insieme, studenti universitari e del Conservatorio e giovani dei quartieri, o questa città perde la sua anima che la connette a una storia grande di cui va fiera.

 

Le chiese evangeliche della città vorrebbero essere in piazza con questi giovani, con queste associazioni, anche se quel giorno sono impegnate altrove. Sono chiese piuttosto presenti in città, nel contrasto alle povertà e nel lavoro educativo e sanitario. Il lavoro continuo delle chiese evangeliche sulla dignità individuale e sull’educazione ai sentimenti è un patrimonio prezioso da condividere. Il maschio non si definisce per la sua aggressività o la sua posizione dominante e la femmina non si definisce per una identità sottomessa e dipendente. Modelli che ancora esistono nei quartieri dove si vive nei bassi o in lotti abitativi definiti da un numero. Modelli che nel lavoro di doposcuola del Centro “Casa Mia” a Ponticelli vengono smontati, così come nelle migliaia di piccoli centri di aggregazione e sostegno allo studio e allo sport per i bambini e le bambine che sono disseminati in città, diversi di loro sostenuti da progetti ottoxmille valdesi o luterani.

 

È necessario per le chiese evangeliche essere presenti per portare il loro pezzettino ad una comune analisi delle trasformazioni sociali, per ascoltare le esperienze di quei giovanissimi, tutti maschi, che hanno perso il senso delle priorità che forse nessun adulto ha saputo trasmettere loro. Si tratta di rimettere al centro le relazioni, e qui trova spazio anche il piccolo lavoro costante di dialogo, educazione alla pace e attenzione agli ultimi, portato avanti dalle chiese evangeliche.