Una Chiesa senza vocazione? Parliamone!

Un seminario della Conferenza delle Chiese protestanti dei paesi latini d’Europa

Nella bella cornice andalusa del centro di incontri e studio Los Rubios, della Chiesa evangelica spagnola, ha avuto luogo l’8 e 9 ottobre scorsi un seminario proposto ed animato dalla Cepple (Conferenza delle Chiese protestanti dei paesi latini d’Europa) dal titolo provocatorio: “Una Chiesa senza vocazione? Riflessioni sulla crisi dell’impegno” (engagement, in francese). Al seminario ha partecipato una ventina di persone, perlopiù ministri di culto, appartenenti alle chiese portoghesi, spagnole, francesi, svizzere, italiane e belghe.

 

Introdotto da un’approfondita analisi sociologica e teologica proposta dalla pastora Laurence Flachon, in servizio presso le chiese protestanti belghe come pastora, insegnante di teologia pratica e responsabile della commissione dei ministeri, il discorso è poi stato nutrito e ulteriormente contestualizzato dagli interventi della pastora Natacha Cros-Ancey, responsabile della formazione continua per le chiese luterane e riformate di Francia, del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, e del pastore Stephan Backman, della commissione dei ministeri della Chiesa protestante unita di Francia.

 

Ricco di confronti e particolarmente interessante anche per la varietà di appartenenze dei partecipanti, il dialogo si è sviluppato a partire dalla riflessione proposta da Flachon sulla definizione dell’impegno, del coinvolgimento delle persone nel contesto postmoderno. Coinvolgimento che soffre in modo evidente l’impatto della “liquefazione” della società, che con il crollo delle grandi narrazioni e lo sviluppo esponenziale delle dinamiche individualiste, espone ogni persona e anche i gruppi, le appartenenze, alla fragilità e alla precarietà. Tali fragilità si ripercuotono necessariamente sulle scelte e sulle pratiche di impegno nelle quali investiamo: si tende sempre più a lasciarsi coinvolgere su progetti specifici, di breve durata, i cui risultati siano visibili ed efficaci.

 

Non è mancata, nell’analisi, un’allerta sull’ambivalenza delle questioni che costituiscono una parte della ragion d’essere dell’impegno: l’importanza della visibilità è al tempo stesso esposta al fascino della spettacolarizzazione. Il rischio è un disequilibrio tra le ragioni personali per cui ci si impegna e l’adesione a un progetto comune e condiviso, tra la visibilità di sé e “la causa” in cui si crede e che fonda un’azione comunitaria. Eppure, per quanto la figura solista possa affascinare, la dimensione comunitaria dell’impegnarsi, l’importanza della condivisione di progettualità non possono essere accantonate. Questo anche in relazione all’accelerazione del tempo, all’importanza che l’immediatezza ha nella società postmoderna. L’accelerazione, l’immediatezza si scontrano con il futuro della Promessa, con la dimensione dell’Eterno. Ed è una sfida particolarmente importante, perché, nonostante tutto, la ricerca di senso c’è eccome, nelle nostre società, dentro e fuori dalle Chiese. Ecco allora l’importanza di riflettere su come definiamo e consideriamo, nelle diverse Chiese, vocazione, appartenenza, discernimento, riconoscimenti e gratitudine, utilità sociale dell’impegno.

 

Alle analisi più teoriche hanno risposto delle riletture contestuali e concrete: Natacha Cros-Ancey, riferendo che a tratti chi studia teologia teme di “prepararsi per un mestiere che non esiste”, sottolineava anche l’importanza fondamentale (e biblica) di accettare di lasciarsi sorprendere, di lasciare che l’alterità ci interpelli, ma anche quella, nei contesti di formazione, di stabilire un quadro entro cui muoversi e interagire. Derio Olivero ha ricordato e condiviso la riflessione attorno alla presa di coscienza del fatto che la Chiesa, ogni Chiesa, può vivere una crisi delle vocazioni e constatare di essere vista come una chiesa “fuori dal mondo”, che allontana anziché invitare ed accogliere (il concetto di “esculturazione”, secondo Theobald). Stephen Backman, quanto a lui, ha aggiunto alla riflessione alcune osservazioni a proposito delle vocazioni tardive e all’importanza di come riconoscere e valorizzare le competenze acquisite nei percorsi precedenti, in un contesto di forte fragilizzazione del ministero pastorale.

 

Non abbiamo trovato la formula magica per risolvere la crisi delle vocazioni, il disincanto relativo all’impegno e alla condivisione di percorsi diaconali e di fede nelle nostre Chiese e attraverso esse. L’incontro, però, è cura in quanto tale, è condivisione di prospettive, è consolazione reciproca. Ed è anche, soprattutto, condivisione di tempo e di spazi, non ultimo quello della Iglesia del Redentor, nel cuore di Malaga, che ci ha accolti per una serata di racconti, testimonianza e relazioni profondamente fraterne.

 

 

 

 

Da www.chiesavaldese.org

 

 

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