Africa contesa

Intervista a Enzo Nucci, storico corrispondente Rai

 

Una “Africa contesa” (ed. Infinito), come recita il titolo dell’ultimo libro del giornalista e saggista Vincenzo Nucci, voce nota agli ascoltatori della RAI. Nucci è stato infatti inviato per l’Africa; dal 2006 al 2022 ha diretto l’ufficio di corrispondenza della Rai per l’Africa subsahariana. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.

 

Buongiorno, Vincenzo Nucci. Al Festival delle Migrazioni di Torino lei è intervenuto, insieme a Berthin Nzonza e Paola Barretta, su “Africa: equilibri e disequilibri”. Recente è anche il suo editoriale su “Riforma – Eco delle Valli valdesi”, il settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi, nel quale lei ricorda i versi di “Figli di Annibale”, un potente brano musicale interpretato da Raizdegli Almamegretta nel lontano 1993. Perché ha scelto questo brano per il suo editoriale?

 «Nelle parole di Raiz era già tutto chiaro: Annibale, ricorda il cantante nel testo musicale, venne in Italia con gli elefanti e dove per quindici o vent’anni la fece da padrone. Quindi, nelle nostre vene scorre anche un po’di sangue africano. Un dato che dimentichiamo spesso; come tendiamo a dimenticare la storia. Quello con l’Africa è dunque un legame che parte da lontano, che ci lega sempre di più con il Continente africano, per vari motivi».

 

L’Africa, che nel suo libro diviene nel titolo “L’Africa contesa”, ha il mondo intero nella sua “sala d’attesa”, per riprendere un’immagine da lei riportata. Si parla infatti di una nuova corsa all’Africa, e che oggi vede in corsa non solo le grandi potenze, preoccupate di difendere le rendite di posizione acquisite nel tempo, ma anche nuovi e agguerriti competitor.

«Sì, in effetti la contesa dell’Africa è antica, pensiamo ai romani nel 146 a.C.; oggi emerge nuovamente e con grande forza. L’Africa bussa alle nostre porte ed è vero, ma ora siamo nuovamente noi a bussare alle porte dell’Africa e sono tanti i competitor che cercano di mettervi piede. Non solo quelli tradizionali – ovvero Stati Uniti, Russia, Cina, Europa –, ormai stanno emergendo sulla scena nuove potenze come la Corea del Sud, il Brasile, l’India, ma anche i Paesi del Golfo persico. Tutti hanno un qualcosa da prendere dall’Africa. Non solo materie prime. Ormai, l’Africa, anche alla luce anche degli ultimi due conflitti in corso è diventata, per la sua posizione, un importante asset geopolitico e strategico per posizionare basi militari e non solo».

 

 L’Italia e l’Europa quali rapporti hanno con l’Africa? Nell’editoriale su Riforma lei ricorda che Roma ha varato l’ambizioso “Piano Mattei”, ma qual è lo stato dell’arte ad oggi?

«Allo stato attuale non vediamo un impatto reale del “Piano Mattei” varato nei mesi scorsi. Per ora, è un piano del tutto teorico; è certamente ambizioso. Per quanto riguarda l’Europa, essa si presenta in maniera molto divisa alle porte dell’Africa; ognuno infatti cerca di “barattare” in qualche modo, qualcosa. Lo abbiamo visto con la Francia ma anche con la Germania che, singolarmente, cercano di piantare le loro bandiere. Credo che questi interventi singoli e un po’ a pioggia non portino alla creazione di una strategia comune, in grado di produrre effetti positivi sia per l’Africa sia per i paesi interessati a piantare le loro bandiere in Africa».

 

Quando si cita l’Africa – un continente poco illuminato dai media generalisti – lei ricorda che sarebbe più opportuno parlare di Afriche, al plurale.

«Certo. Noi parliamo di un Continente che in realtà è grande quanto Stati Uniti, India, Cina, Europa e oltre, messi insieme. È un territorio enorme, con 54 nazioni presenti sulla cartina. Parliamo quindi di migliaia di etnie, lingue, culture che si allineano nel Continente. Africa, dunque, è un termine generico; Afriche sarebbe la declinazione migliore. Del resto, se pensiamo all’Europa che è piccola cosa rispetto all’Africa, vediamo quante Europe siano presenti, quante differenze di grande rilievo siano tutt’ora presenti all’interno dei piccoli Stati europei».

 

 Nucci, ci dice che nelle cartine geografiche l’Africa è disegnata in modo diverso da quelle che dovrebbero essere le dimensioni reali…?

«Sì, in effetti, è stata una geniale intuizione di un cartografo belga del XVI secolo a fornirci la rappresentazione, ormai innervata nel nostro immaginario, di un’Africa graficamente rappresentata addirittura come più piccola degli Stati Uniti. È stata una geniale intuizione, perché era l’epoca della nascita del colonialismo ed era necessario creare una cartina di in grado di facilitare le rotte per le grandi potenze che allora emergevano. Tuttavia, si tratta di una cartina fasulla e andrebbe rivista alla luce di un rispetto per questo Continente».

 

Infine, se l’Africa è l’ombelico del mondo (adattando ad essa un noto ritornello musicale), come vede la situazione geopolitica mondiale attraversata oggi da crisi, guerre e cambiamenti climatici?

«Quello che si presenta davanti ai nostri occhi oggi è un mondo in frantumi, con grandi divisioni, in cui sono venute meno le ideologie, e dove sempre più emergono nuove esigenze. Abbiamo popoli che necessitano di risposte a questa crisi mondiale. Forse proprio l’Africa può indicarci una strada, segnare una via».