“Frontiere diaconali”. Mai numeri, sempre persone

Si è svolto ieri 23 agosto l’incontro della Diaconia valdese dedicato al tema del superamento delle frontiere

 

 

Frontiere diaconali” è giunto alla sedicesima edizione. Oramai consolidato appuntamento che precede l’imminente Sinodo delle chiese metodiste e valdesi che aprirà i battenti ufficialmente domani, domenica 25 agosto, a Torre Pellice (To), è l’occasione per ragionare di anno in anno sulle molteplici attività promosse dalla Diaconia valdese, l’ente che coordina l’attività sociale dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi.

 

Quest’anno si è tornati a parlare proprio di frontiere, anzi di “Oltre le frontiere”, come  recitava il titolo dell’incontro che si è svolto venerdì 23 nel tempio valdese di Torre Pellice. Un “oltre” declinato in varie modalità. Un “oltre” fisico, un concreto superamento di confini creati artificialmente dagli Stati nazionali, ma anche un “oltre” giuridico, culturale, sociale, economico, nel tentativo di giungere a un completo riconoscimento dei diritti e delle dignità delle persone coinvolte in un processo migratorio.

 

Allora è doveroso partire dall’ultimo degli interventi ascoltati, quello di Mamadou Telly Koulemou, operatore sociale proprio per la Diaconia valdese. Il tragico racconto del suo percorso dalla Guinea all’Italia è un tuffo nell’abisso del dolore e dell’umiliazione, una vergogna per gli esseri umani; un racconto che andrebbe trasmesso con regolarità nei notiziari nazionali. Uno schiaffo che dovrebbe essere salutare ricevere per ciascuno di noi.

 

Siamo assuefatti dalle morti in mare, dagli sbarchi, numeri su numeri. Andare oltre le statistiche e ricordare la dignità di ogni singola persona è stato un filo rosso che ha collegato tutti gli altri interventi, a partire da Giovanna Filosa dell’Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche che ha parlato dell’integrazione attraverso l’educazione. In tempi di nuove chiacchiere politiche estive sulla concessione della cittadinanza per lo meno dei minori stranieri che frequentano le scuole italiane (Ius Scholae), ricordare le battaglie per la laicità delle istituzioni scolastiche e per una reale integrazione che parta dai banchi è doveroso.

 

Marta Bernardini, coordinatrice nazionale del progetto Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), oltre a ricordare il «visionario” progetto dei Corridoi Umanitari che ha consentito a settemila persone di giungere in sicurezza in Italia ha declinato il suo “oltre” raccontando i progetti che la Fcei sta dedicando al tema del lavoro per le persone migranti. Un lavoro che deve essere dignitoso in ogni suo aspetto, mentre ben conosciamo i ghetti che caratterizzano le nostre campagne, dal Nord al Sud, senza eccezioni. L’apertura di due ostelli, a Rosarno in Calabria e nel Saluzzese sono una delle azioni messe in atto in tal senso.

 

Loretta Malan, direttrice dell’area “Servizi inclusione” della Diaconia ha ricordato alcuni dei tanti progetti costruiti in questi anni, a partire dall’accoglienza delle migliaia di persone salvate dai Corridoi Umanitari. Il suo “oltre” ci ha portato ad ascoltare dei Corridoi Universitari, dedicati a studenti stranieri che possono giungere in Italia in sicurezza per frequentare gli atenei, e dei Corridoi lavorativi, che favoriscono l’incontro fra la richiesta di lavoro delle aziende e le persone migranti formate dalla Diaconia e da altri partner.

 

Martina Cociglio, ha raccontato le attività degli 11 Community Center presenti nelle città italiane e da lei coordinati. Sportelli per il supporto alle persone straniere e italiane in difficoltà: un aiuto in sostanza a 360 gradi in un sistema legislativo e giuridico che non tutela i diritti delle persone. Al contempo l’impegno alle frontiere di Trieste, Oulx e Ventimiglia prosegue fra sempre nuove criticità.

 

A coordinare i vari interventi è stato il pastore Francesco Sciotto, presidente della Csd- Diaconia valdese, che ha ricordato le tante frontiere, fisiche e non, che Gesù Cristo, e i suoi seguaci hanno attraversato per portare la Parola. Un Gesù sempre in viaggio, così come ad esempio Paolo: «Del resto sappiamo che questi primi cristiani venivano chiamati “quelli della via”, a significare proprio i carattere itinerante della loro predicazione». Un movimento in movimento, fin dagli albori.