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Accadde oggi, 8 luglio

8 luglio del 1988: si conclude il primo grado del processo contro i responsabili della catastrofe della val di Stava. 268 le vittime, l’ennesimo dramma italiano legato alle opere pubbliche

Quante sono state e quante saranno ancora in Italia le tragedie legate ai deliri di onnipotenza dell’uomo, che crede di potersi ergere a Signore dei mari e dei venti, Dominus cui tutto è concesso e nulla precluso.

 

Sono talmente tante le disgrazie che alcune inevitabilmente finiscono per venire mano a mano dimenticate, spesso perché il loro ricordo può essere più doloroso di altri casi analoghi. E non certo per una diversa qualità dei morti, tutte vittime in egual misura di nefaste negligenze e disegni criminosi altrui, ma perché alcune catastrofi sono delle recidive, dei déjà-vu. E per questo sono imperituro esempio di come l’uomo non impari dalle proprie nefandezze. Per cui è forse l’umana vergogna a far porre certi eventi in secondo piano.

 

In Italia c’era già stato il Vajont nel 1963. Da quel disastro, da quelle duemila vittime in poi, nessuno poteva far più finta di non sapere. Di non capire che la costruzione per qualsivoglia motivo  di opere ciclopiche in aree a rischio prima o poi verrà punito. Di non capire che la sicurezza deve essere il solo criterio fondante se si intende o si è obbligati a intervenire con forza nei nostri boschi, nelle nostre valli.

 

E se c’era già stato il Vajont non avrebbe mai dovuto esservi una val di Stava. E invece il 19 luglio del 1985 180 mila metri cubi di materiale di risulta degli scavi di una miniera di fluorite fuoriescono dopo il crollo degli argini, sbriciolati dall’eccessivo surplus di materiali presenti rispetto alla capienza accettabile, e si riversano sulla piccola frazione di Stava di Tesero. Fango, sabbia, acqua, travolgono ogni cosa nella corsa verso le pianure.

 

268 morti. Uno strato di fango fra i 20 e i 40 centimetri che ricopre un’area di 435.000 metri quadrati.

Oggi 8 luglio del 1988 è il giorno in cui si conclude il primo grado del processo contro i responsabili della catastrofe.

 

Responsabili che sono la plastica dimostrazione delle torbide commistioni che spesso hanno caratterizzato l’operato di aziende pubbliche e di grandi gruppi privati, i cui interessi irrimediabilmente intrecciati hanno creato una sacca oligarchica di potere, che ha governato il nostro paese per anni, anteponendo qualsivoglia interesse particolare al bene pubblico, che ne è uscito sempre irrimediabilmente sconfitto ed umiliato.

 

La miniera infatti era rimbalzata più volte da una gestione privata (Montecatini, che diventa Montedison, poi le pubbliche Egam e Eni, e di nuovo un’azienda privata, la Prealpi mineraria). Linea comune di operato per tutti questi soggetti: continua crescita dei materiali di risulta, ben al di là dei limiti garantiti dalle strutture, e mancati controlli ( risulterà che in oltre venti anni nessuno aveva mai fatto verifiche sulla tenuta delle dighe). Reddittività ad ogni costo contro negligenza dolosa. Come spesso accade chi vive sul posto ha prima di altri sinistri presagi perché ben conosce la propria terra. Già nel 1974 il Comune di Tesero aveva chiesto verifiche sulle vasche di decantazione dei materiali. Il Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento incarica degli accertamenti  di stabilità la stessa società concessionaria (la Fluormine, appartenente allora ai gruppi Montedison ed Egam) che la effettua nel 1975.

 

Pur trascurando una serie di indagini indispensabili, la verifica permette di accertare che la pendenza dell’argine del bacino superiore era “eccezionale” e la stabilità era “al limite”.

1975, dieci anni prima del crollo.

 

Tuttavia la risposta della Fluormine al Distretto minerario e di questo al Comune è positiva: non ci sono problemi, possiamo alzare ancora l’argine. Cosa è successo nel mentre? Perché tutti hanno taciuto?

 

Il processo porterà alla condanna di dieci imputati equamente divisi fra responsabili della costruzione dei bacini di decantazione, direttori di miniera, responsabili delle varie società concessionarie, e dirigenti del distretto minerario di Trento che hanno omesso qualsivoglia verifica.

 

La politica si indigna, piange i morti e promette cambi di rotta. Pronti per un nuovo tragico giro di valzer, che si chiami Giampilieri, Sarno, Genova o fiume Tanaro.

 

 

Foto: “Stava2“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikipedia.