Finestra sul Ruanda: elezioni presidenziali 2024
Il Rwandan Bill e il voto della diaspora
Il 15 luglio si svolgeranno in Ruanda – circa 14 milioni di abitanti, una densità abitativa di 426 abitanti per chilometro quadrato – le elezioni presidenziali, che con altissime probabilità riconfermeranno per il suo quarto mandato consecutivo l’attuale leader Paul Kagame, eletto per la prima volta presidente dal Parlamento nel 2000 e rieletto a suffragio universale nel 2003, 2010 e 2017 con oltre il 90% dei voti ogni volta.
Una revisione costituzionale del 2015 ha modificato i termini presidenziali da sette a cinque anni, consentendo a Kagame di rimanere potenzialmente al potere fino al 2034 se, come si prevede ampiamente, sarà rieletto.
Nel piccolo Stato del centro Africa si svolgeranno anche le elezioni legislative, che sono state sincronizzate con quelle presidenziali, con oltre 500 candidati in lizza per 80 seggi parlamentari. Gli elettori eleggeranno direttamente 53 rappresentanti, mentre 27 seggi saranno riservati a donne, giovani e disabili, scelti indirettamente.
Questa la notizia, che forse passerebbe inosservata ai più, che associano lo Stato centro africano al terribile genocidio di 30 anni fa, e che spesso ancora oggi nonostante gli sforzi del presidente e del suo entourage se pensano o sentono parlare del Ruanda lo considerano uno Stato in guerra, poco sicuro.
Il Rwandan Bill
Il fatto è che proprio in questi giorni del Ruanda se ne sta parlando e molto perché qualche mese fa l’ormai ex premier britannico Rishi Sunak aveva reso nota la trattativa in corso con il governo ruandese per l’espatrio di numerosi rifugiati verso il piccolo Stato africano.
Ad aprile 2024, dopo mesi di braccio di ferro politico, la proposta del governo per la deportazione dei richiedenti asilo in Ruanda era diventata legge, con la previsione di far decollare il primo volo verso la capitale Kigali entro luglio. Nonostante le numerose reazioni delle associazioni per i diritti dei rifugiati, che avevano annunciano ricorsi alla Corte Europea per i diritti dell’uomo e l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, il governo britannico aveva reso noto di aver già affittato gli aerei charter per i trasferimenti di inizio estate: circa 350 posti riservati a uomini oltre i 40 anni, entrati illegalmente nel Regno Unito dopo il primo gennaio 2022, da deportare con un preavviso di 5 giorni al massimo.
Secondo l’accordo, chiunque fosse arrivato in Gran Bretagna illegalmente dopo il 1° gennaio 2022 e avesse fatto domanda d’asilo, rischiava di essere deportato in Ruanda, a oltre 6.000 km di distanza, dove sarebbe stato il governo di Kagame a valutare la sua richiesta. In caso di esito positivo, avrebbe ottenuto lo status di rifugiato e il permesso di rimanere in Ruanda (o in un altro Paese terzo).
Per la stipula di tale accordo 140 milioni di sterline sono stati inviati nell’aprile 2022 al Ruanda.
Nel frattempo la sentenza della Corte di Strasburgo, emessa ai sensi dell’Art.39 di presentare con successo un ricorso per sospendere l’espulsione ha determinato l’illegittimità della deportazione. La legittimità della politica complessiva è stata poi contestata all’Alta Corte del Regno Unito dai richiedenti asilo che erano stati selezionati per la ricollocazione.
La Corte Suprema ha dichiarato il Ruanda un Paese terzo non sicuro, la sentenza ha anche citato le preoccupazioni per la attuale situazione del Ruanda in materia di diritti umani e per il trattamento riservato in passato ai rifugiati.
Quando tutto sembrava pronto, è arrivato il colpo di scena. Il nuovo premier Keir Starmer, il primo laburista al governo inglese da decenni, nel suo primo giorno da Primo Ministro ha confermato che il piano di deportazione del Ruanda è “morto e sepolto”.
Tutto ciò si sta svolgendo in questi giorni mentre ormai il Paese centro africano si prepara alle elezioni presidenziali.
Quali scenari, quali programmi presentati da Paul Kagame e dagli altri candidati?
Non è facile leggere oltre quanto emerge dalle notizie ufficiali, che mostrano un presidente uscente acclamato dalle folle, mentre gira il Paese per la campagna elettorale.
Le elezioni presidenziali
Quest’anno concorrono, va detto con pochissime probabilità di ostacolare il potere ventennale di Kagame, Frank Habineza e Philippe Mpayimana. Il primo, nato nel 1977, è il fondatore del Partito dei Verdi ruandesi, un passato di giornalista, militante e primo oppositore a sedere al Parlamento durante l’era Kagame. Mpayimana, 54 anni, è scrittore e giornalista; si presenta come candidato indipendente, rivolgendosi principalmente alla diaspora, cioè alle migliaia di cittadini e cittadine ruandesi che vivono all’estero. Lui stesso, fuggito durante il Genocidio, ha vissuto tra la Francia e il Belgio.
Altre figure chiave dell’opposizione sono Victoire Ingabire, nata nel 1968, una delle più forti oppositrici al regime del presidente attuale, che ha trascorso 8 anni in prigione, accusata di terrorismo, e Bernard Ntaganda, nato nel 1967, fondatore del partito Imberakuri, anche lui condannato per proteste e atti contro il governo, in prigione per 4 anni. Entrambi non possono candidarsi a causa di questa condanne passate. La storia di Diane Rwigara, nata nel 1982, la cui candidatura è stata invalidata a causa di documenti non conformi, è quella di una donna perseguitata duramente dal regime di Kagame, arrestata, il cui padre è morto in un incidente stradale ancora oggi misterioso. Attualmente non può candidarsi per presunte irregolarità nel sottoporre la sua richiesta.
Il voto della diaspora
Per la terza volta voteranno alle presidenziali anche le migliaia di ruandesi che vivono all’estero. La maggior parte di loro risiede negli Stati Uniti, in Canada, in Belgio. In Italia sono circa 300. Le elezioni si svolgeranno presso i consolati e le ambasciate, per esempio in Italia a Milano e a Roma. In questi giorni i ruandesi della diaspora si sono dovuti registrare presso le sedi ufficiali e domenica 15 potranno recarsi al voto.