Serve un cambio di passo nel contrasto alla povertà educativa
Una commissione attivata dall’Istat avrà il compito di affrontare un tema annoso e problematico per l’intera società
La 15° Conferenza nazionale di statistica (Roma, 2-3 luglio 2024) è stata dedicata principalmente alle sfide dell’intelligenza artificiale ma con una sessione sulla povertà educativa in cui sono stati presentati i risultati preliminari di un lavoro congiunto di esperti riuniti in una Commissione scientifica interistituzionale attivata da Istat per “definire, studiare e quantificare le dimensioni della povertà educativa e costruire parametri e indicatori per la sua misurazione su base territoriale sub-regionale”.
Questo nuovo percorso intende affrontare un annoso problema che è stato trascurato per troppo tempo con conseguenze nefaste dal punto di vista della partecipazione culturale che rischia di minare dall’interno le basi democratiche della nostra società.
Ripartire da una base solida per monitorare il fenomeno e affrontarlo è un primo passo verso l’assunzione di responsabilità della politica nel disegnare misure efficaci di riequilibrio che si prendano cura dei bisogni e dei desideri o aspirazioni di fasce della popolazione che in alcuni territori sono particolarmente disattesi. Tale esercizio di elaborazione richiede ancora un certo affinamento e terrà conto di migliorie che potranno emergere anche nel confronto internazionale.
Quattro sono le innovazioni significative, a parere di chi scrive. Innanzitutto, si tiene conto della diversità territoriale e, attraverso i gradi di urbanizzazione, si riescono ad affinare le mappe territoriali della disuguaglianza sociale che in una regione come il Piemonte – in particolare nella città metropolitana di Torino – sono importanti. Secondo, si tenta di tenere conto sia delle mancanze che delle risorse, non solo economiche ma anche culturali e sociali, che possono influire sulla povertà educativa dei giovani (0-18 anni) coinvolgendo la comunità educante definita per la prima volta non solo nella dimensione dell’istruzione ma guardando anche ai luoghi della cultura e della socializzazione, cercando peraltro di distinguere tra il contesto e la risposta individuale, concepita all’insegna dell’empowerment che è responsabilità delle politiche educative attivare, secondo il dettato costituzionale (art. 3). Terzo, come è stato sottolineato da Monica Pratesi, direttrice del Dipartimento per la produzione statistica, la misurazione della povertà educativa non coincide solo con la dimensione scolastica e cognitiva ma si prende in considerazione anche l’educazione informale e l’apprendimento dall’esperienza. Infine, la novità più significativa è il costrutto multidimensionale con cui si definisce la povertà educativa.
Si legge infatti nel comunicato: “Per un bambino o un adolescente essere in povertà educativa significa trovarsi in una condizione caratterizzata da una carenza di risorse educative e culturali della comunità di riferimento intesa in senso lato (famiglia, scuola, luoghi di apprendimento e aggregazione, ecc.) e non avere acquisito le competenze cognitive e non cognitive (sociali ed emotive) necessarie per crescere e sviluppare le relazioni con gli altri e per sentirsi parte di una comunità”.
La Commissione terminerà il suo lavoro nel corso del 2024 e gli indicatori verranno inseriti nella produzione statistica annuale dell’Istat, per un cambio di passo nel contrasto alla povertà educativa. Ci si dovrebbe preoccupare della qualità dell’educazione, dell’istruzione, della formazione continua della popolazione – invece di enfatizzare l’inverno demografico – in uno sforzo intergenerazionale. Infatti, la povertà educativa colpisce le famiglie e le comunità, ma per contrastarla con efficacia, occorre mettersi in ascolto delle priorità delle giovani generazioni.
Nel corso della discussione sono state anche commentate le mappe territoriali. Un accentuato rischio (carenze di risorse educative e scarsi esiti scolastici) è presente in tutte le tipologie di comuni al Sud (Sicilia, Puglia e Campania) ma anche in molte zone rurali del Centro-Nord (Lazio, Liguria, Emilia-Romagna). In molte aree rurali del Paese, in città di Lazio, Calabria, Puglia e nei sobborghi della Lombardia si riesce a compensare con esiti scolastici migliori della media italiana a fronte di carenze di risorse.
Laddove si sta meglio, cioè nelle città del Centro-Nord, la situazione presenta alcune eccezioni in Piemonte, Liguria e Toscana per gli esiti scolastici sotto-media e nelle città del Lazio per la scarsità di risorse, oltre alle città nel Centro-Sud (Abruzzo, Basilicata e Molise). Le risorse educative vantaggiose non è detto che siano accessibili e gli scarsi esiti scolastici caratterizzano le città del Piemonte, della Liguria e della Toscana e città e sobborghi urbani della Sardegna.
Tra i commenti emersi, si è messo in luce il tasso di alunne e alunni stranieri o svantaggiati al Centro-Nord che presentano difficoltà di integrazione a cui occorre porre rimedio in futuro, non solo per questioni di giustizia sociale ma anche perché potrebbero rappresentare un costo laddove rimanessero in situazioni di esclusione.