Mandela nel cuore. Non nell’urna

Il partito di Mandela perde l’anima stretto tra corruzione e giovani insoddisfatti

 

 

E adesso, povero Cyril Ramaphosa? Il governo di unità nazionale sembra la sola strada percorribile per estrarre il Sudafrica dalla palude in cui è arenato dopo i risultati elettorali dello scorso 29 maggio. L’African National Congress (Anc), il partito di Nelson Mandela, per la prima volta dal 1994 (anno delle prime elezioni democratiche post-apartheid) ha perso la maggioranza assoluta in parlamento alle elezioni generali. Cyril Ramaphosa, presidente uscente, designato dall’Anc per un secondo mandato, lavora alla difficile costruzione di una riottosa maggioranza parlamentare in grado di votarlo.

 

È la prima volta che accade in 30 anni di potere monocolore del partito-stato, punito dagli elettori (come era facile prevedere) per le tante promesse non mantenute, i troppi scandali, la diffusa inefficienza e la mancanza di prospettive.

 

La corruzione ha svuotato le casse dello Stato: quattro sudafricani su dieci sono disoccupati, quasi inesistenti i servizi pubblici di base. Potere e ricchezza sono concentrati nelle mani di una minoranza tanto da rendere la Nazione Arcobaleno il paese più disuguale al mondo per le forti disparità tra reddito e ricchezza: queste sperequazioni sono all’origine della violenza che fa del Sudafrica uno tra i paesi più pericolosi del pianeta. Blackout elettrici, crisi degli alloggi, rallentamento dell’economia hanno convinto molti (in larga maggioranza i più poveri) a disertare le urne: ha votato solo il 40 per cento degli elettori nonostante che il presidente Ramaphosa a due settimane dal voto abbia presentato un disegno di legge per la copertura sanitaria universale nel disperato tentativo recuperare consensi. La mancata partecipazione al voto apre un problema sul livello di legittimità delle istituzioni, aggravata anche dalla tempesta di false informazioni circolate in rete costruite e ad arte per favorire l’Mk, il partito dell’ex presidente Jacob Zuma.

 

Quando l’Anc nel 1994 incassò il 63% dei consensi era ancora un partito in grado di rappresentare tutta la variegata ricchezza prismatica della «black consciousness», che aveva animato il movimento contro la segregazione razziale. Oggi, invece, la sfida arriva da forze politiche radicali, nate proprio da scissioni maturate all’interno dell’Anc.

 

È il caso dei populisti degli Economic Freedom Fighters (Eff) di Julius Malema, ex leader dell’ala giovanile dell’African National Congress, da cui fu espulso per estremismo un decennio fa: è un partito nazionalista e antioccidentale, con grande seguito tra i giovani, in polemica perenne con il partito-stato tanto da incassare il 9% dei consensi il 29 maggio.

 

Ad erodere un ulteriore 14% dei voti ha provveduto anche l’Mk (uMkhonto weSizwe), il partito fondato da Jacob Zuma, nato politicamente nell’ala armata dell’Anc durante l’apartheid, tornato baldanzosamente sulla scena politica, nonostante i mille scandali (violenza sessuale, vendita illegale di armi, corruzione, sottrazioni di fondi statali, etc.) e una condanna a 15 mesi di carcere poi condonata.

 

Tante le ipotesi allo studio per uscire dall’impasse, compresa una coalizione con la Democratic Alliance (Da), principale forza di opposizione con il 22% dei consensi, raccolti specialmente tra l’elettorato bianco e coloured. Comunque vada, la sveglia è suonata per tutti: il tempo della ricreazione è finito, è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche per dare risposte a cittadini sempre più delusi da quel piccolo zoccolo duro di privilegiati attaccato visceralmente al potere, incapace di interpretare il disagio diffuso.

 

L’economia sudafricana è entrata nel secondo decennio di stagnazione: la ricchezza pro-capite non cresce dal 2008.

 

L’Anc fino ad oggi è riuscito a conservare il consenso politico degli strati più poveri della popolazione grazie al sistema dei sussidi per i disoccupati che ha garantito a 27 milioni di sudafricani (su 60 milioni complessivi di abitanti) di sopravvivere in estrema indigenza grazie al piccolo aiuto statale, specialmente nelle zone rurali. Ma è un modello in declino perché proprio gli oppositori populisti (Eff e Mk) (responsabili del malgoverno di questi anni) si nascondono dietro slogan e parole d’ordine il grande impatto: trasformazione economica radicale, sfida al «monopolio del capitale bianco» da attuare con espropriazioni di terre ed un controllo ferreo della classe dirigente economica.

 

Parole che infiammano facilmente le piazze ma che allontano il Sudafrica dal circuito degli investimenti, anche per le forti mareggiate di xenofobia che si abbattono sugli immigrati irregolari, accusati di rubare il lavoro. Il sogno di Mandela rischia di finire all’alba.

 

*Per gentile concessione dell’autore e del mensile Confronti: n°7-8 luglio/agosto 2024