Sfide contemporanee e radici storiche e spirituali

Il resoconto della Conferenza del III Distretto della Chiesa valdese

 

Continuiamo a proporvi gli articoli che riassumono gli esiti delle varie Conferenze Distrettuali , uno degli organi “intermedi” della Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi. 

 

Di Fabio Babini

Svoltasi nella splendida cornice del Centro Ecumene, a due passi da Velletri, dal 31 maggio al 2 giugno, la Conferenza del III Distretto ha rinnovato il nostro spirito di accoglienza reciproca, di attenta e reale comunicazione non solo tra chiese, ma anche nel piacevole confronto tra chi ha maturato un’esperienza di lungo corso e chi, come il sottoscritto, vi partecipa per la prima volta. Occasione eccezionale per conoscere nuove persone e confrontarsi con punti di vista anche divergenti, ma che puntano nella medesima direzione, un appuntamento per l’apprendimento e la crescita spirituale, ma anche una testimonianza della vivacità e dell’adattabilità delle comunità di fede davanti ai cambiamenti del nostro tempo.

 

Un tratto segnante è da ricercare nei culti di apertura e di chiusura, durante i quali il pastore Francesco Marfè (Firenze)

ha avuto l’intuizione di proporre un “sermone aperto”, chiedendo ai convenuti che cosa fosse per loro la vocazione.

Uno dei passaggi fondamentali va ricercato nella volontà d’infondere continuità al buon lavoro dello scorso anno, occasione da cui la Ced ha ricevuto il mandato di segnalare sia la crisi della vocazione sia una certa mancanza di comunicazione all’interno delle chiese. Coglie nel segno Patrizia Barbanotti, presidente della Commissione esecutiva, nel citare un vecchio articolo di Giorgio Tourn, sottolineando l’erroneo dualismo in cui una chiesa non dovrebbe mai cadere: ovvero non essere una chiesa-popolo, ma nemmeno cedere alla tentazione di un manipolo di fedeli che vivono la propria comunità con un approccio elitario.

 

Un lavoro corale e autocritico, come scrive nella sua relazione la Commissione d’esame, che possa portare le nostre chiese a guardare nuovamente con fiducia al futuro, suggellato da un intervento del pastore Winfrid Pfannkuche, che ribadisce l’importanza fondamentale dei termini vocazione e collaborazione, rimarcando quanto sia doveroso ricordare i passi biblici che portano alla luce questi valori.

 

Vocazione e comunicazione sono parole cardine che animano il lavoro del sabato: «Essere sobri e riservati non vuol dire essere muti», ammonisce Marfè, mentre l’assemblea si divide in tre gruppi, da cui emerge che ci deve essere una vocazione reciproca tra pastori e membri di chiesa, che la comunicazione deve andare di pari passo con l’ascolto e deve essere realizzata non solo all’interno delle comunità ma anche al di fuori delle chiese.

 

Per ciò che concerne la vocazione emerge che la cura pastorale dovrebbe essere circolare, i membri si devono rapportare con il Concistoro e con il pastore stesso poiché tutti, anche i pastori, possono aver bisogno di assistenza spirituale o semplicemente di sostegno. Senza scordare che a volte la cura d’anime può essere in affanno anche per mancanza di una formazione adeguata, e una comunità deve organizzarsi sulla base delle proprie competenze.

 

Tra gli atti approvati, una menzione particolare merita quello riguardante la positiva conclusione del processo di unificazione tra le due chiese di via IV Novembre a Roma, sottolineato da un caloroso applauso anche per il lavoro di accompagnamento svolto dalla Ced.

 

Questa Conferenza, quindi, non solo ha rafforzato i legami all’interno della comunione metodista e valdese, ma ha anche lanciato sfide stimolanti per il futuro, invitando alla riflessione su come queste comunità possano continuare a fare la differenza in un mondo in rapida evoluzione.  Vorrei chiudere con le parole del pastore Luca Anziani: «Dobbiamo utilizzare le chiese che abbiamo per aprire le chiese che non abbiamo», perché tutti i nostri slanci e buoni propositi trovano una loro ragion d’essere nel momento in cui apriamo una nuova chiesa.

 

Una vocazione che apre alla collaborazione

Di Maurizio Rolli

 

Se l’anno scorso il tema era stato «La comunità e il territorio: parrocchia o chiesa confessante?», quest’anno la Conferenza del III Distretto ha esplorato lo spazio che separa queste due polarità approvando all’unanimità un atto di indirizzo che individua nella crisi della vocazione, comunicazione, collaborazione, il tema su cui la Ced III svolgerà la sua missione a servizio delle chiese nel prossimo anno.

 

In una riflessione davvero corale e introspettiva, la Conferenza ha osservato che troppo spesso capita di percepirsi come la persona più adatta, quella che ha la migliore comprensione delle cose, come se ogni visione un po’ diversa fosse di per sé pericolosa per la sopravvivenza della chiesa. Come se la vocazione provenisse dalle nostre certezze, come se la grazia fosse vana. Come se il progetto che davvero vale la pena di realizzare non fosse quello di comportarci come fratelli e sorelle che collaborano, che si valorizzano l’un l’altra in un rapporto d’amore degno di questo nome. Come se essere membro di una chiesa della Riforma fosse un vanto e non l’impegno a comprendersi come creatura verbi, dinamica, ri-formata, riplasmata, ricreata da ogni predicazione e da ogni incontro in Cristo tra fratelli e sorelle. Solo il richiamo alla vocazione fondato sulla Scrittura apre a una nuova opportunità: quella di partecipare a un progetto che, pur nella fatica di rapporti interpersonali talvolta complicati, ci coinvolge in un comune percorso illuminato dalla grazia del Signore. Solo Cristo infatti rinnova la nostra relazione con Dio, e questo ci rimanda immediatamente alle nostre relazioni reciproche.

 

La comunicazione nella chiesa diventa essa stessa annuncio dell’Evangelo; ma come possiamo oggi rendere efficace questa comunicazione? Non può esistere comunicazione senza ascolto attivo, questo è il punto di partenza dal quale provare a trovare nuovi metodi per ravvivare il dialogo nelle nostre comunità e nello spazio pubblico; tenendo conto che interculturalità e intergenerazionalità giocano un ruolo rilevante, e che il metodo con cui affrontiamo le tematiche sensibili è parte dell’annuncio.

 

Una comunicazione non fondata sull’amore di Cristo si ripercuote anche in una disarticolazione del processo democratico tramite il quale si giunge alle decisioni. Ciò è dovuto a una cattiva interpretazione del concetto di delega, che sempre più viene vista come una fuga dalle responsabilità, accompagnata dalla conseguente mancanza di sostegno alle persone che assumono incarichi e svolgono ministeri. Una progettualità condivisa permette di trasformare un’insana catena di deleghe e deresponsabilità in una rete proficua di rapporti e testimonianza pubblica, in cui la vocazione di ognuno e ognuna ha valore e permette che ogni crisi sia superata a lode di Dio solo.