90 anni della “Dichiarazione di Barmen”

Il testo in cui i membri della Chiesa confessante tedesca condannarono le ingerenze del nazismo

 

Nel 90° anniversario della Dichiarazione di Barmen, in cui i membri della Chiesa confessante tedesca condannarono le incursioni naziste nella vita ecclesiale, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) la ha elogiata per aver aiutato i cristiani da allora a combattere l’oppressione e l’ingiustizia.

 

«La Dichiarazione Barmen è servita da ispirazione per i cristiani che affrontano la tirannia, l’ingiustizia e la discriminazione sulla necessità per la Chiesa di respingere le affermazioni dei regimi oppressivi e di combattere le tendenze eretiche all’interno dei suoi stessi ranghi», ha affermato  Pillay in un messaggio alla Chiesa evangelica in Germania (Ekd).

 

La dichiarazione fu emessa l’ultimo giorno del sinodo del 29-31 maggio 1934 che si riunì a Barmen, un quartiere della città di Wuppertal nella Renania. Era un appello ai protestanti affinché rifiutassero le politiche dei cosiddetti «cristiani tedeschi» che sostenevano il nazionalsocialismo e le sue ingerenze politiche nella vita ecclesiale.

 

«Proprio perché vogliamo essere e rimanere fedeli alle nostre diverse confessioni, non possiamo tacere, poiché crediamo che ci è stato dato un messaggio comune da pronunciare in un tempo di comune bisogno e tentazione», affermava la dichiarazione.

«Siamo uniti dalla confessione dell’unico Signore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» proseguiva.

 

Pillay, originario del Sud Africa, ha ricordato come nel suo Paese la Dichiarazione Barmen abbia contribuito a ispirare la resistenza teologica all’apartheid.

Ciò ha trovato espressione anche nel Documento “Kairos” del 1985, il cui anniversario il Cec commemorerà nel 2025 quando il suo comitato centrale si riunirà a Johannesburg.

 

La Dichiarazione di Barmen, ha aggiunto Pillay, è stata un «evento veramente ecumenico», poiché è stata la prima dichiarazione comune dei rappresentanti delle Chiese luterana, riformata e unita in Germania dai tempi della Riforma.

 

«Oggi la Dichiarazione Teologica Barmen ci ricorda il legame inestricabile tra la ricerca dell’unità della Chiesa e la necessità di un messaggio comune sulla base della nostra fede contro la tirannia, la guerra e l’ingiustizia», ha scritto Pillay nella sua lettera alla vescova Petra Bosse-Huber, a capo del Dipartimento per le relazioni ecumeniche e i ministeri all’estero della Ekd.

 

Fin dai primi mesi successivi alla presa del potere di Adolf Hitler la componente ampiamente maggioritaria del corpo pastorale della Chiesa evangelica tedesca ne aveva appoggiato l’operato riconoscendo nel cancelliere un’emanazione del disegno divino: «Come per ogni popolo, anche per il nostro l’Eterno ha creato una legge conforme alla specie che ha preso aspetto nel Führer Adolf Hitler e nello stato nazionalsocialista da lui formato….noi professiamo un credo cristiano rispondente allo spirito tedesco», così professava la confessione di fede dei cristiani tedeschi guidati dal “vescovo del Reich” Ludwig Muller nel 1934 . La permeante presa di potere riempì ogni spazio nella vita pubblica e privata dei tedeschi, e la chiesa non fu un’eccezione, prona di fronte al bastone nazista.

 

Già dagli albori era però chiaro a chi aveva occhi per vedere quali fossero le trame e i fini del governo della croce uncinata: nel maggio dello stesso 1934 un gruppo di pastori tramite la dichiarazione di Barmen si coalizzò come Chiesa confessante per prendere le distanze dalle connivenze della Chiesa evangelica. Fra loro Karl Barth, che pure ne criticava l’azione poco efficace contro il nazionalsocialismo, Martin Niemoller, Heinrich Gruber Helene JacobsDietrich Bonhoeffer e Franz Kaufmann e altri ancora. Una minoranza in seno alla comunità protestante.

 

«Il 29 maggio di novant’anni fa si apriva il Sinodo di Barmen. Sinodo che due giorni dopo approverà una “Dichiarazione teologica” (in realtà una vera e propria confessione di fede) che costituisce uno dei testi cristiani più significativi del Novecento – ha ricordato il giorno dell’anniversario con un post nella sua pagina facebook il professor Fulvio Ferrario, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma –. 

 

L’intenzione di Barmen è anzitutto ecclesiale, non direttamente politica: si tratta di affermare che la fonte della predicazione della chiesa è nella parola di Dio, cioè in Cristo stesso, e non in questa o quella mistura tra questa parola e le ideologie del tempo. È un fatto, però, che queste parole “non politiche” hanno avuto un enorme significato politico e hanno costituito una voce critica negli anni del trionfo del nazionalsocialismo.

 

Già da molti decenni è in corso una rilettura critica di questo testo. Si segnala, anzitutto, che in Barmen non si trova una sillaba sulla persecuzione antiebraica, che nel 1934 era già chiaramente identificabile: lo stesso Karl Barth, l’estensore dalla versione finale del testo, lo ha ammesso con chiarezza. Nella letteratura teologica tedesca (ma non solo) si osserva però la tendenza a un vero e proprio revisionismo su Barmen: il testo sarebbe espressione di una  teologia autoritaria, poco attenta alla dimensione politica, sorda al dialogo con la democrazia liberale; e oggi si aggiungono altre letture critiche, nelle quali l’anacronismo e l’assenza di senso storico appaiono addirittura grotteschi, come le letture “postcoloniali” del testo e quelle che gli rinfacciano l’«androcentrismo» o l’assenza di sensibilità per il «pluralismo religioso». Queste letture revisionistiche – prosegue Ferrario – si compiacciono di osservare che la Chiesa confessante (nata dalla dichiarazione) si è distinta assai spesso per posizioni conservatrici e di compromesso nei confronti del regime e, assai spesso, finiscono per banalizzare il significato storico del documento.

 

Tale significato, per contro, è attestato dalle migliaia di uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede evangelica nel carcere e nei campi di concentramento e dalle centinaia di persone che hanno dato la vita nel nome dell’«unica parola di Dio» annunciata dalla prima tesi del Sinodo.

La fede evangelica è, per natura, sua demitizzante ed è giusto sottoporre a critica anche la mitizzazione di Barmen. Sommamente antistorico – conclude Ferrario –, volgare, ideologico, ingrato e mistificatorio, invece, è voler banalizzare quello che resta un episodio decisivo della storia cristiana del Novecento».

 

Il testo della Dichiarazione e un link proposto dal professor Ferrario al Corale di Lutero cantato nell’occasione: «Mantienici, o Signore, nella tua parola».

I

Gesù Cristo, così come ci è testimoniato nella Sacra Scrittura, è l’unica parola di Dio, che dobbiamo ascoltare, nella quale dobbiamo confidare e alla quale dobbiamo obbedire, in vita e in morte.

Respingiamo la falsa dottrina in base alla quale la chiesa, come fonte della propria predicazione, potrebbe e dovrebbe riconoscere, oltre e accanto a quest’unica parola di Dio, anche altri eventi e potenze, figure o verità in quanto rivelazione di Dio.

II

Gesù Cristo è stato fatto da Dio per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione (I Cor. 1,30)

Come Gesù Cristo costituisce la parola di Dio che assicura (Gottes Zuspruch) del perdono di tutti i nostri peccati, così è con la stessa serietà egli costituisce anche la potente rivendicazione di Dio (Gottes kräftiger Anspruch) nei confronti dell’intera nostra vita; per mezzo suo accade in noi la lieta liberazione dagli empi vincoli di questo mondo, in vista di un libero, grato servizio alle sue creature.

Respingiamo la falsa dottrina in base alla quale esisterebbero ambiti della nostra vita nei quali noi saremmo proprietà non di Gesù Cristo, bensì di altri signori; ambiti, nei quali non avremmo bisogno della giustificazione e della santificazione per mezzo suo.

III

Siate al servizio della verità nell’amore e, in tal modo, crescete sotto ogni aspetto verso quello che è il capo, Cristo, a partire dal quale tutto il corpo è collegato insieme (Ef. 14, 15 s.)

La chiesa cristiana è la comunità di fratelli, nella quale Gesù Cristo agisce nel presente, mediante lo Spirito santo, nella parola e nel sacramento, come il Signore. Come chiesa dei peccatori perdonati essa, con la sua fede come con la sua obbedienza, con il suo messaggio come con il suo ordinamento, deve testimoniare nel mondo del peccato che essa è sua proprietà soltanto, vive e vuole vivere soltanto della sua consolazione e del suo ammaestramento, in attesa della sua manifestazione.

Respingiamo la falsa dottrina in base alla quale la chiesa sarebbe autorizzata ad affidare il profilo del proprio messaggio e del proprio ordinamento al proprio arbitrio o al mutare delle convinzioni ideologiche e politiche di volta in volta dominanti.

IV

Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra voi; anzi, chiunque vorrà essere grande tra voi, sarà il vostro servitore (Mt. 20, 25 s.)

I diversi ministeri della chiesa  non fondano alcun predominio degli uni sugli altri, bensì l’esercizio del servizio affidato e comandato all’intera comunità.

Respingiamo la falsa dottrina, in base alla quale la chiesa, al di fuori di questo servizio, potrebbe darsi o permettere che le siano dati particolari capi (Führer), autorizzati ad esercitare un predominio.

V

Temete Iddio, rendete onore al re (I Pt. 2,17)

La Scrittura ci dice che lo Stato, per disposizione divina, ha il compito, nella misura della comprensione e delle possibilità umane e mediante la minaccia e l’uso della forza,  di provvedere al diritto e alla pace, nel mondo non ancora redento, nel quale si colloca anche la chiesa. La chiesa riconosce, nella gratitudine e nel timore nei confronti di Dio, il carattere positivo di questa sua disposizione. Essa richiama al Regno, al comandamento e alla giustizia di Dio e, in tal modo, alla responsabilità dei governanti e dei governati. Essa confida nella forza della parola, mediante la quale Dio regge tutte le cose, e le obbedisce.

Respingiamo la falsa dottrina in base alla quale lo stato dovrebbe e potrebbe diventare, al di là del proprio specifico incarico,  l’ordinamento unico e totalizzante della vita umana, e dunque assolvere anche la funzione della chiesa.

Respingiamo la falsa dottrina in base alla quale la chiesa dovrebbe o potrebbe far propri, al di là del proprio specifico incarico, carattere, compiti e dignità dello stato, diventando essa stessa, in tal modo, un organo dello stato.

VI

“Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dell’età presente” (Matteo 28,20). “La parola di Dio non è incatenata” (II Tim. 2,9).

Il compito della chiesa, fondamento della sua libertà, consiste nel rivolgere a tutto il popolo, in luogo di Cristo e dunque a servizio della sua parola e della sua opera, per mezzo della predicazione e dei sacramenti, la notizia della libera grazia Dio.

Respingiamo la falsa dottrina in base alla quale la chiesa, agendo con umana arroganza, potrebbe porre la parola e l’opera del Signore al servizio di qualche desiderio, obiettivo o piano corrispondente alle proprie autonome scelte.