Una panchina gialla per Giulio Regeni a Torino
Inaugurata ieri pomeriggio alla presenza dei genitori del ricercatore ucciso in Egitto nel 2016
«Che bello oggi abbiamo pitturato la panchina di giallo. Ma domani ritorna verde?». Sono le parole di un bambino di 4 anni, uno fra i tanti che hanno dipinto di giallo una panchina che è diventata il simbolo per ricordare a tutti che Giulio Regeni fa cose e che sta aspettando verità e giustizia come la stiamo aspettando tutto noi.
Al Circolo Risorgimento, una casa del popolo, in via Poggio 16, a Torino succedono cose, si fanno cose. Con l’ associazione di promozione sociale arte, intrattenimento e cultura Casseta Popular, i bambini delle elementari ridisegnano e reinterpretano il quartiere. E questa volta hanno pitturato una panchina gialla. È la prima panchina gialla a Torino alla memoria di Giulio Regeni. È la centoundicesima in Italia. Presenti all’inaugurazione ieri pomeriggio 13 dicembre i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni e l’avvocata Alessandra Ballerini.
Dopo l’inaugurazione è seguita la presentazione dei libri “Giulio fa cose”, edito da Feltrinelli, scritto dai genitori di Giulio e Alessandra Ballerini, e di “La vita ti sia lieve. Storie di migranti e altri esclusi”, pubblicato da Zolfo Editore scritto dalla Ballerini. L’incontro, moderato da Maurizio Petroni, storico e ricercatore è un pretesto per mettere sotto gli occhi di tutti una volta di più riflessioni sui diritti umani e le loro violazioni. Perchè bisogna ricordare che Giulio Regeni, ricercatore universitario, è stato sequestrato il 25 gennaio del 2016 al Cairo, e il suo corpo ritrovato senza vita il 3 di febbraio con evidenti segni di tortura.
«L’omicidio di Giulio Regeni non è un evento isolato, ma si colloca in un contesto sistematico di torture, sparizioni forzate e morti in carcere che avvengono quotidianamente in Egitto da molti anni», come sottolinea l’avvocata Alessandra Ballerini. «Intorno all’omicidio di Giulio la costruzione di falsità che è stata fatta dalla stampa, non solo egiziana, ma anche dalla nostra, che ci è andata a rimorchio, è imbarazzante. Si è inventato di tutto. Si è detto che fosse un giornalista, una spia, un omosessuale, nessuna di queste. Era solo un ricercatore, un giovane uomo che lavorava. Ed è morto sul lavoro. L’uso delle parole non è mai fatto a caso. La verità é un diritto inviolabile solo avendo verità l’essere umano è tutelato», afferma ancora l’avvocata Ballerini. «La nostra battaglia per la giustizia va al di la della lotta di una famiglia. È una lotta universale per i diritti. O valgono per tutti o non valgono per nessuno».
Paola Deffendi ricorda che «insieme al popolo giallo continuiamo il nostro percorso di verità e giustizia. Perché voi ci date la motivazione per tutto questo».
«Quando ci chiedono dove troviamo la forza, il coraggio per quello che facciamo, per andare avanti dopo tanti anni, rispondiamo che è qualcosa che ci viene spontaneo, perchè quanto è stato fatto a Giulio è un oltraggio inaccettabile che nessuno dovrebbe subire e che non auguriamo a nessuno» aggiunge Claudio Regeni.
Il processo dovrebbe incominciare il 20 febbraio. Il Giudice per le Udienze Preliminari di Roma il 5 dicembre scorso ha rinviato a giudizio i quattro 007 egiziani accusati del sequestro, tortura e omicidio del ricercatore friulano. Sono quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif.