Il messaggio che osiamo proporre
È in distribuzione il numero di dicembre del mensile free press con un dossier dedicato al “Tempo di Natale, messaggi di speranza”
È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di dicembre del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it. Il dossier di questo mese è dedicato “Tempo di Natale, messaggi di speranza”. In questo articolo il direttore di Riforma Alberto Corsani è in dialogo con il pastore Stefano D’Amore. Buona lettura
Verso Natale avvertiamo ancor più la distanza fra ciò che avviene nel mondo e la speranza che le chiese annunciano da sempre: come porsi rispetto a questa contraddizione? Lo abbiamo chiesto a Stefano D’Amore, pastore della chiesa valdese di Villar Pellice e presidente della Commissione esecutiva del I Distretto (Pinerolo e Valli valdesi).
«Ci poniamo come sempre: con il cuore pieno di dolore, di paure, e un po’ di rabbia. Purtroppo, per noi come individui e anche come chiese, non è una novità vivere in un tempo difficile, fatto di guerre, di crisi economiche, di incertezze, e non è la prima volta. Dunque, ci poniamo come sempre, con un po’ di tristezza in più perché ci sono situazioni che peggiorano e non riusciamo a capire come sia possibile. Allora, qual è lo scopo dell’annuncio della speranza se non proprio proporla in questo contesto? Non che il nostro messaggio positivo possa essere portato solo in un vissuto negativo: voglio dire che è proprio nel buio più nero che una piccola fiammella serve e deve essere portata al mondo. È proprio quando non ci vediamo più, che bisogna accendere un fiammifero; proprio nel rumore più assordante delle armi una parola diversa da quelle della guerra deve essere portata. Anche quest’anno annunciamo qualcosa di totalmente nuovo e totalmente diverso, qualcosa di giusto, di bello e di buono, e osiamo dire il messaggio di un Dio che si fa essere umano, che ci scuote e ci impegna; e dobbiamo dire che questo è un dono per tutta l’umanità, non è un sogno né una chimera, ma è un dono possibile e realizzabile: le nostre piccole lucine di Natale e i nostri addobbi colorati rappresentano una luce più grande, che continua a proporsi, a chiamarci e a vivere in un mondo in cui la forza si rivela nella debolezza (II Corinzi 12, 10) e non nella sopraffazione reciproca».
– Le chiese cristiane vedono ridursi il numero dei praticanti: che cosa succede, forse non riescono più a portare efficacemente il loro messaggio?
«Il messaggio da dare è assolutamente chiaro, non perde mai la propria forza e attualità: se il nostro linguaggio non sarà all’altezza, non gli faremo un buon servizio. Ma resta il messaggio dato da un Dio che ha liberato dalla schiavitù, un Dio che ha voluto fare un patto con l’umanità e che ha scelto di vivere nella sua creazione, e che ha sconfitto la morte. Questo messaggio è più forte del nostro linguaggio e quindi troverà lui il modo, i mezzi, gli strumenti per essere annunciato e per essere efficace, nei grandi eventi come anche (e forse ancor più) nelle “piccole” situazioni. E sarà efficace… nonostante noi, nonostante le nostre parole invecchiate e le nostre stanchezze, i nostri timori e le nostre abitudini infeltrite. Siamo noi, in qualche modo, che ci perdiamo e non comprendiamo questa forza, se non ci lasciamo attraversare da lei e se, con il nostro linguaggio, mostriamo di non avere colto quella potenzialità».
– Il lavoro con i giovani: una difficoltà oppure una grande opportunità?
«Mentirei, se dicessi che lavorare con i giovani non è difficile, che non è difficile riuscire a capirli, ad adeguarsi ai loro tempi, a entrare nelle loro paure e nelle loro speranze, spesso lontane e diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati. A volte queste loro speranze mi sembrano minime, a volte mi sembrano riferite a situazioni insormontabili. Ma mentirei anche se dicessi che lavorare con loro non sia bello e arricchente; mentirei se dicessi che non è una meraviglia ascoltarli, aspettare i loro tempi, provare a entrare nei loro mondi. Non so se questa pratica si può definire come un’opportunità: direi semplicemente che il lavoro con i giovani è necessario e irrinunciabile, come tante altre pratiche che le nostre chiese fanno o dovrebbero fare; questa la facciamo con un po’ più di fatica e di timore, a volte delegando ad alcune figure, mentre si dovrebbe lavorare di più sulla quotidianità, sulla possibilità di creare delle “abitudini” insieme a loro, sull’essere presenti con loro, in modo discreto ma anche determinato. Il lavoro con i più giovani è stato e continua a essere uno spazio prezioso in cui imparare tanto: nella mia esperienza quando si è più giovani spesso c’è più libertà che consapevolezza di poter imparare e di poter cambiare, di capire, di smontare e di rimontare. Per questo avere occasioni di confronto è fondamentale e necessario, e soprattutto riserva sempre delle sorprese, da cui continuo ad apprendere».