La sana follia che ogni tanto ci cambia

Il libro di Antonio Di Grado avvicina il mondo dei Vangeli al cinema di Totò

Una delle caratteristiche dei grandi comici del muto (Chaplin, Buster Keaton) era di assumere le fattezze di una maschera: un personaggio uguale a sé stesso, che si faceva carico delle ansie e angosce di tutti, portatore di un carico di emozioni variabili ma sempre sé stesso. Era il muto a favorire questa vocazione e infatti, prima degli ultimi lungometraggi parlati (Monsieru Verdoux, Un re a New York, Luci dela ribalta), nella gestione per lui difficile del passaggio al cinema sonoro, Chaplin si buttò sulla grande Storia: il sindacalismo e gli scioperi (Tempi moderni), il nazismo e la guerra (Il grande dittatore). 

Ma allora che c’entra Totò? Totò, il Totò letto da Antonio Di Grado*, per moltissimi anni docente di Letteratura italiana (ma anche di Storia dei cinema) all’Università di Catania, e custode della memoria di Leonardo Sciascia, non è una maschera, ma è molto altro. Sulla vetta del suo lavoro cinematografico sta senz’altro il “corto” Che cosa sono le nuvole?, che riassume con grande poesia le sue multiformi vocazioni, prima fra tutte quella di “marionetta”: una struttura fisica che sfida le leggi naturali. Come disarticolato è anche il suo linguaggio: giochi di parole, calembour, sfottò. E in tutti i mestieri che rappresenta (quasi 100), porta in primo piano il carattere degli italiani del dopoguerra: voglia di vivere, entusiasmo, iperattivismo; ma anche insofferenza e irrisione nei confronti di ogni forma di potere e autorità, salvo quando, si viene ad averne un pizzico – e allora la usiamo in maniera tronfia e ridicolmente arrogante, indossando una divisa e finendo a pernacchie! Insomma, un italiano come tutti noi, in quel preciso contesto dei vent’anni successivi alla fine della guerra.

Ma allora che c’entra il Vangelo? Il libro, che attraversa anche tanta letteratura italiana porta alla luce la dimestichezza del suo autore con i testi biblici, anche come generi letterari. Dai loro vari stili – specialmente dell’amato Marco – fa risaltare lo stile nervoso e le forme delle situazioni descritte, i caratteri dei personaggi e lo sfondo drammatico da cui nascono (la malattia, l’esclusione sociale, a cui Gesù risponde). Dietro la risata ci sono le tragedie, la fame, gli espedienti, i sotterfugi che fanno tutt’uno con la nostra umanità. Un male che, anche fra lazzi e risate, ruota intorno al denaro: e quante parabole hanno a che fare con la moneta, i conti, i debiti? Non c’è antropologia più pessimistica – dice l’autore – di quella dei Vangeli. E Totò stesso diceva in un’intervista: «non si può essere un vero comico senza avere fatto la guerra con la vita» – in proposito, possiamo aggiungere, si veda l’infanzia miserrima di Chaplin.

Le vicende di Totò sono quelle di una sorta di burattino in mezzo a uomini e donne agitati. Totò emerge cercando di sopravvivere, come Gesù («il più solo degli uomini» – p. 80) cerca di uscirne, dicendo la parola che la gente si aspetta. Il tutto con una saggezza che, come dice Paolo, non è «sapienza”; al contrario, «la saggezza “contiene” la follia, il paradosso…» (p. 108). Totò non affronta direttamente il sacro, ma la velocità delle notizie (come avviene nei Vangeli), il carattere nervoso delle relazioni, la possibilità che le vicende cambino di segno repentinamente, come nelle guarigioni, il chiacchiericcio che segue ai miracoli (che a volte Gesù stesso stronca) mettono in contatto questi mondi. Ci fanno capire che attraversiamo il mondo del precario e ci segnalano l’importnza di accettare di farci cambiare.

* A. Di Grado, Il Vangelo secondo Totò. Torino, Claudiana, 2023, pp. 136, euro 14,50.



Foto: I Due Marescialli