Abusi nelle chiese in Svizzera, la pastora Rita Famos prende posizione
Le chiese riformate scioccate dal Rapporto dell’Università di Zurigo sugli abusi nella Chiesa cattolica in Svizzera
In seguito alla pubblicazione del Rapporto indipendente sugli abusi nella Chiesa cattolico romana in Svizzera – uno studio a cura del Dipartimento di storia dell’Università di Zurigo che ha evidenziato la natura di un fenomeno di cui si conoscevano i contorni, ma la cui ampiezza scaturita dall’indagine ha sconvolto l’opinione pubblica svizzera – abbiamo voluto capire come questa dolorosa vicenda è stata accolta in ambito protestante.
Come ha reagito e come valuta questo rapporto la pastora Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (Ceris)? Ecco cosa ha dichiarato a Voce Evangelica il giornale elvetico edito dalla Conferenza delle chiese evangeliche di lingua italiana in Svizzera (CoCelis), raggiunta dalla giornalista Gaëlle Courtens mentre si trova in Armenia con una delegazione del Consiglio ecumenico delle chiese, intenta a portare avanti una difficile missione di pace:
«Come tutti e tutte in Svizzera anche noi siamo rimasti scioccati e sgomenti. Non c’è solo il numero spropositato di casi, ma anche le singole vicende riportate nel rapporto e che sono quasi insopportabili da leggere. La nostra solidarietà va alle vittime e alle persone colpite. Allo stesso tempo, accogliamo con favore il fatto che queste dolorose vicende vengano finalmente affrontate e che è stato deciso di protrarre lo studio dell’Università di Zurigo. Speriamo e preghiamo che le voci di coloro che da anni chiedono riforme all’interno della Chiesa cattolica romana vengano finalmente ascoltate e che vengano prese le rispettive misure».
Rita Famos, in che termini si può dire che questo fenomeno è presente anche nella chiesa evangelica riformata?
«Nel nostro caso non parlerei di fenomeno. Per come siamo strutturati noi, non è possibile insabbiare sistematicamente degli abusi. Intanto, la chiesa riformata è organizzata democraticamente e vota i propri ministri di culto. Pertanto, non abbiamo una gerarchia che semplicemente può trasferire i colpevoli, perché ogni singola parrocchia elegge il suo pastore, o la sua pastora. E così come li elegge, li può destituire. Poi, non abbiamo archivi segreti e i casi di abuso, quando si verificano, vengono immediatamente inoltrati alla giustizia ordinaria.
Negli ultimi anni abbiamo scientemente affrontato gli aspetti legati alla morale sessuale. Ci sono voluti lunghi e intensi processi di discussione e riflessione. Per esempio, oggi la nostra chiesa concepisce l’importanza della sessualità nel quadro di una relazione paritaria e di mutuo rispetto. Ma anche accettando l’omosessualità abbiamo creato le condizioni affinché ipocrisie e doppi standard possano essere il più possibile arginati».
In passato maltrattamenti e abusi sessuali, soprattutto contro minorenni, sono avvenuti anche in istituzioni evangeliche…
«Le nostre indagini relative alla seconda metà del XX secolo sui casi di abuso soprattutto nell’ambito dell’assistenza minorile coercitiva, penso ai bambini-schiavi, in effetti hanno dimostrato che anche nel nostro ambito c’è chi si è voltato dall’altra parte. In casi sospetti, non sempre sono state prese le misure necessarie per proteggere le vittime.
Oggi, tuttavia, questa sensibilizzazione fa parte dello standard che vogliamo raggiungere attraverso la formazione, l’aggiornamento e i piani di protezione. A prescindere dai rapporti di lavoro, sia nell’ambito dell’animazione giovanile, sia in quello della pastorale o dei consigli di chiesa, ma anche nella gestione delle risorse umane, le misure a prevenzione della violenza sessuale e dell’abuso devono essere costantemente riviste e migliorate. Stiamo lavorando affinché le nostre chiese siano dei luoghi dove si possa vivere una cultura della sicurezza psicologica e fisica».