Il sacrificio del Figlio di Dio
Un giorno una parola – commento a Giovanni 3, 16
Da tempi lontani il Signore mi è apparso. «Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò, ti prolungo la mia bontà»
Geremia 31, 3
Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
Giovanni 3, 16
Questo versetto tratto dal dialogo tra Gesù e Nicodemo ricordo di averlo visto da piccolo all’età circa di 10 anni ogni domenica mattina scritto in grande nella sala di culto che frequentavamo in Monferrato. Una frase che finii per imparare a memoria e che mi appariva misteriosa. Un po’ perché ero figlio unico, un po’ perché mi chiedevo perché Dio onnipotente avesse bisogno di sacrificare il proprio Figlio per salvare il mondo. Non c’era un altro modo? Tornando a casa dal culto lo chiesi a mio padre. Che mi disse che per capire quella frase un giorno avrei dovuto fare come Nicodemo. E la cosa finì lì.
Ma la mia curiosità continuò per tutta l’adolescenza. Perché così tanto odio verso questo giovane che mi era pure simpatico? Eppure, era odiato al punto che fu trattato dai potenti e dalla folla come un pericoloso delinquente e fu giustiziato nel modo più crudele possibile. Domande ingenue, non le riproposi più. Depositate in fondo alla coscienza restavano quiete ma pronte a ridestarsi. Durante il mio primo anno di università in scienze naturali, mio padre mi regalò un libro che a lui era molto piaciuto su Lutero.[1] Una lettura che mi coinvolse profondamente dalla quale ne uscii con una nuova convinzione. Il sacrificio di Dio per salvare l’umanità che aveva creato era quello di Cristo morto per tutti noi. Credere non vuol dire imboccare a priori la via del sacrificio, anzi siamo stati liberati dal compiere sacrifici, non ci rimane altro che rispondere con riconoscenza, vorrei dire con gioia al dono che Dio ci ha fatto. Liberandoci, tra le altre cose, dall’idea autolesionista che dobbiamo immolarci, martirizzarci per salvarci.
Teologicamente la questione è più complicata di così ma intanto capii che la fede in Cristo aveva una potenza liberatoria. Era lui che si era sacrificato per me, ero libero di ricordarlo, testimoniarlo. Era Lui che operava in me, dovevo solo rispondere. La questione era così intrigante che a vent’anni finii col cambiare Facoltà, e m’iscrissi a teologia. E sono arrivate tante altre domande. Ma a quella più importante avevo trovato una risposta. Certo sulla scelta specifica che Dio ha compiuto in Cristo per salvare il mondo avrei altre cose da chiedergli. Ma penso che un giorno avrò occasione di farlo, con tutta calma. Amen.
[1] Giovanni Miegge, Lutero giovane, Feltrinelli, Milano 1964