Un’eco biblica nei versi di Andrea E. Visone
Una silloge di poesie di recente pubblicazione
«Le poesie/ sono come vasche di saline:/ le parole inutili evaporano/ nell’aria marina,/ mentre nel fondo/ i versi maturano/ e bruciano l’animo/ che fruga ansioso/ come un uccello nel fango» (“Saline”). Processi fisici dunque, passaggi di stato della materia, dalla volatilità delle parole al coagulo delle poche degne, il verso, quel verso «che oggi il cristallo del tempo/| ha indurito» (“Miele”). Questa la definizione di opera poetica che Andrea Edoardo Visone – membro della chiesa valdese di via Quattro Novembre in Roma – ci offre in Al riparo dall’ombra, silloge da poco pubblicata per i tipi di Fefè Editore e arricchita dalla prefazione del prof. Claudio Strinati*.
Un ricetto, appunto, nel quale farsi abbacinare da continui riverberi, ambigui come «i borghi etruschi/ delle terre di mezzo/ s’intrecciano/ di vicoli scuri/ che slargano/ in piazze senza respiro» (“Fugge la stagione”), struggenti a mo’ di «cerva/ tra le zampe dei grifi» (“Daunia”). Vere e proprie «foreste di immagini» che «si cercano» – apprendiamo, programmaticamente, nella lirica che battezza la raccolta – sulle labili piste della «polvere/ della materia/ che si scioglie tra le case» (“Entropia”).
L’ermetismo di Quasimodo intride queste pagine, il medesimo illustre traduttore del componimento della poetessa greca Saffo che balena in “Frammento tra i frammenti”. Al Quasimodo di Uomo del mio tempo occhieggia il nostro autore quando lo spauracchio dell’atomica lo fa tremare dentro (“La mia generazione”)? Una vena talora cupa, cruda, certo crepuscolare, ma meno pervasiva di quanto forse egli stesso supponga o tema, giacché si spalancano orizzonti di «una vita che ha nome di cieli e di giardini» (“Forse una nuova poesia”) o scopriamo che «il pianto di un neonato/ è come luce di perla/ prima dell’alba» (“La chiameranno Mila”). Aleggia un profumo di favola, come quella di Amore e Psiche eternata da Apuleio, allorché Andrea rassicura chi ha al proprio fianco, e chi legge: «anche se accendi il lume | non ti dirò i miei mostri» (“Non dormi”). E come in tutte le buone fiabe che si rispettino ecco imbatterci in orchi, ninfe, fauni e fate, soprattutto in fate, con il loro far capolino in ben quattro liriche.
A viste persino trascendenti – in antinomia con le religiose «inaridite nei chiostri/ e nell’orgoglio/ di una falsa fede» – scorge fate nelle infermiere, e vi crede, come crede nella Grazia, «senza volerlo» (“Amazing Grace”). Per la Lettera agli Efesini gli amanti diverranno una sola carne: per il nostro autore essi, egli stesso e la sua nipotina, sono «uniti dalla forma» (“Al riparo dall’ombra”), quasi un’unica sagoma delimitata da un tratto di matita. Il Vangelo di Giovanni e il Salterio di Davide trovano esplicita cittadinanza in “Cosa c’è tra noi?”, mentre affettuosa eco dell’inno 45 dell’Innario cristiano risuona in “Foglie di versi” là dove Andrea, ancora in riferimento alla piccola nipote, è una «grande quercia/ nodosa e storta/ che per te si finge “forte rocca”». Prenderà sonno «sulla scala del pulpito/ sotto la croce […] vuota» (“Ipno”) proprio nel tempio di Quattro Novembre? Ebbene, ciò è quanto lo riguarda, quanto riguarda il «bambino con un piede/ nella vita,/ fratello eretico,/ vecchio senza fede» che azzarda «un ultimo volo» (“Ascolta di nuovo”).
Così ha fine “Siccità”: «… lo sai che una volta/ ho visto la neve/ coprire la piazza?/ Chiude gli occhi/ ma non vede nulla./ Com’era nonno?, mi chiede./ Bianca come te/ e all’alba,/ quando aprivo la finestra,/ pura come il tuo corpo./ La bambina insegue/ un mulinello di sabbia e rifiuti/ tra le macchine ferme./ Poi il riflesso del sole/ l’acceca». A me ricorda il cieco Omero, che nel VI libro dell’Odissea dona all’Occidente la prima visione dell’Olimpo, la celebre sede dei numi che «non da venti è squassata, mai dalla pioggia/ è bagnata, non cade la neve, ma l’etere sempre/ si stende privo di nubi, candida scorre la luce».
* A. E. Visone, Al riparo dall’ombra. Roma, Fefè editore, 2025, pp. 110, euro 15,00.