La Sesta Conferenza Mondiale di Fede e Costituzione pubblica un “Appello a tutti i cristiani”

Il testo finale del più importante appuntamento ecumenico dell’anno in cui si ricorda il 1700esimo anniversario dal COncilio di Nicea

 

«La questione dell’unità visibile dei cristiani è stata all’origine del movimento ecumenico, che ha cercato di rispondere a un problema fondamentale della missione della Chiesa» ha affermato Job Getcha, metropolita di Pisidia e vice moderatore della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) in un discorso al termine della conferenza di cinque giorni, che ha riunito circa 400 persone presso il Centro Logos della Chiesa Copta Ortodossa a Wadi El Natrun, a sud-ovest di Alessandria d’Egitto in quello che è stato il più importante appuntamento organizzato dal Cec nell’anno del 1700esimo anniversario dal primo concilio ecumenico di Nicea.

Il tema della conferenza – “Dove ora l’unità visibile?” – è stato affrontato dalle prospettive interconnesse di fede, missione e unità.

 

La Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle chiese, che si occupa di questioni preminentemente teologiche, è composta da 50 studiosi e studiose di chiese appartenenti alle principali correnti storiche del cristianesimo, compresa la chiesa cattolico-romana. Si tratta di un forum multilaterale di teologia ecumenica unico nel suo genere.

Ad oggi sono state solo cinque le conferenze mondiali di questo tipo, a partire dalla prima tenutasi a Losanna nel 1927, che diede origine al movimento Fede e Costituzione. L’ultima si svolse in Spagna, a Santiago de Compostela, nel 1993.

 

«Aspiriamo a vivere l’unità per la quale Cristo ha pregato, affinché il mondo possa credere e sperimentare i doni di Dio di guarigione, giustizia e vita abbondante» ha affermato la Sesta Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione in un “Appello a tutti i cristiani: Messaggio della Sesta Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione”, concordato l’ultimo giorno dell’incontro.

 

Vi proponiamo qui di seguito il testo finale.

 

I. Introduzione

 

1. Dove ora si colloca l’Unità Visibile? Questa domanda ha plasmato le deliberazioni della Sesta Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione. La Sesta Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione si riunisce in Egitto, la terra dove la Sacra Famiglia trovò rifugio, la terra da cui Dio chiamò suo Figlio (Os 11,1; Mt 2,15). Siamo stati travolti dalla generosa ospitalità della Chiesa Copta Ortodossa ed esprimiamo la nostra profonda gratitudine a Sua Santità Papa Tawadros II, ai suoi confratelli vescovi e a tutto il suo popolo per la loro calorosa accoglienza. Siamo rimasti profondamente colpiti dalla testimonianza e dalla missione di successo della Chiesa Copta Ortodossa non solo ora, ma attraverso i secoli. Riconosciamo questa antica terra dove molte generazioni hanno vissuto, respirato e vissuto in Dio. Siamo consapevoli che qui in Africa e in Medio Oriente, come in altri luoghi del mondo, molte persone, compresi i cristiani, oggi affrontano persecuzioni e soffrono orribili violenze, minacce esistenziali, disumanizzazione e totale disprezzo dei diritti umani. In un mondo segnato da divisione e polarizzazione, da violenza e guerra, e da apatia e complicità di fronte alle ingiustizie che ne derivano, la chiamata di Cristo all’unità (Gv 17,21) rimane più urgente che mai. Questa chiamata ci sfida a ricercare questa unità nella fede e nella missione e a iniziare a viverla.

 

2. Come cristiani siamo chiamati a essere uno. Nel Credo niceno, affermiamo una Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Incontrandoci, 1700 anni dopo il Concilio di Nicea, convocato nel 325, cento anni dopo la Conferenza Mondiale sulla Vita e il Lavoro, riunita a Stoccolma nel 1925, e a oltre trent’anni dall’ultima Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione, tenutasi a Santiago de Compostela nel 1993, riconosciamo e celebriamo i progressi compiuti dal movimento ecumenico, pur riconoscendo le sfide che continuiamo a dover affrontare.

 

3. Primo concilio ecumenico nella storia del cristianesimo, Nicea ha cercato l’unità della fede cristiana. Attraverso la Sesta Conferenza Mondiale ci invitiamo reciprocamente all’unità dei cristiani. Ispirati dal nostro impegno con Nicea, essa si basa su quanto è stato realizzato dal movimento Fede e Costituzione nel corso dell’ultimo secolo. Riunendoci, continuiamo la tradizione vivente del movimento ecumenico. Affermiamo che l’unità visibile della Chiesa non è solo un’aspirazione teologica, ma anche un imperativo evangelico, per il nostro tempo, come per tutti i tempi. Guardando al futuro, ci impegniamo a dare dignità all’umanità in tutte le sue espressioni, riconoscendo che siamo tutti figli di Dio, creati a immagine e somiglianza di Dio. Ci impegniamo a un rapporto più profondo gli uni con gli altri e a percorrere insieme il nostro pellegrinaggio di fede, per quanto lungo o complicato possa essere. Affermiamo una rinnovata visione ecumenica che sia al tempo stesso coraggiosa e compassionevole nel rispondere alla chiamata di Cristo e alle grida del mondo. Affermiamo la nostra reciproca responsabilità nella ricerca di una fede comune, di una missione condivisa e di un’unità vissuta.

 

II. Le Conferenze Mondiali su Fede e Costituzione

 

4. Questa è la sesta di una serie di Conferenze Mondiali su Fede e Costituzione la cui prima risale a quasi un secolo fa: Losanna (1927), Edimburgo (1937), Lund (1952), Montreal (1963) e Santiago de Compostela (1993). Ognuna di esse ha approfondito la nostra comprensione delle dimensioni teologica, ecclesiale ed etica dell’unità, plasmando la testimonianza condivisa delle Chiese in un mondo frammentato. A Losanna (1927), il movimento Fede e Costituzione ha intrapreso un’analisi approfondita delle divisioni dottrinali che separano le Chiese, affermando il ruolo vitale della teologia nel perseguimento dell’unità visibile. Edimburgo (1937) ha portato avanti questa analisi concentrandosi sull’ecclesiologia e sulla teologia sacramentale. Insieme alla Conferenza di Oxford su Vita e Lavoro (1937) e al Consiglio Missionario Internazionale (fondato nel 1921), pose le basi per l’istituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, sottolineando l’importanza dell’unità sia nella fede che nella missione. Lund (1952) invitò le chiese ad agire insieme ove possibile – il famoso Principio di Lund – e segnò una svolta significativa verso un’azione comune e una testimonianza condivisa in un mondo diviso.

 

5. Basandosi su queste fondamenta, Montreal (1963) cercò di definire la natura dell’unità che cerchiamo, sostenendo una comunione radicata nella fede apostolica e l’unità di tutti in ogni luogo. Questo impulso avrebbe poi ispirato il documento di convergenza di Fede e Costituzione, Battesimo, Eucaristia e Ministero (BEM). Santiago de Compostela (1993) indicò la koinonia, o comunione, come cuore dell’unità, invitando le chiese a impegnarsi seriamente nella frammentazione del mondo e a lavorare insieme per sostenere la giustizia, l’apertura al dialogo e l’impegno contestuale. Ha ribadito che le preoccupazioni teologiche di Fede e Costituzione non possono essere separate da quelle di Vita e Lavoro, di missione ed evangelizzazione, e di giustizia e pace.

 

6. Ci rallegriamo per il progresso ecumenico compiuto nel secolo scorso, in particolare per i risultati dei numerosi dialoghi bilaterali e multilaterali che hanno dato frutti concreti. Mentre ora ci chiediamo: “Dove sarà ora l’unità visibile?”, deploriamo la nostra continua disunione, pur riconoscendo che i processi di esplorazione teologica in cui ci siamo impegnati e le nostre risposte condivise ai bisogni del mondo di per sé avvicinano le Chiese alla realizzazione di tale unità. Man mano che le Chiese dialogano sulla fede e collaborano insieme nella missione, la relazione tra loro si approfondisce e la loro unità inizia a manifestarsi. Viviamo in un mondo in cui troppe persone affrontano fame, guerra e sfollamenti. La nostra unità vissuta implica che queste grida e questi dolori siano condivisi. Non possiamo fare altro che rispondere gli uni agli altri, piangere insieme, cercare di guarire quelle ferite e cercare e realizzare un mondo diverso. Le sfide che il mondo si trova ad affrontare riguardano tutti i cristiani. Insieme, cristiani e chiese possono offrire una testimonianza importante che trascenda le loro differenze e separazioni.

 

7. Attingendo alla tradizione della Chiesa primitiva, alle intuizioni del passato e alle nuove esperienze ecumeniche, pur riconoscendo che la pienezza dell’unità ecclesiale è dono di Dio e nostra chiamata, ci impegniamo, noi stessi e le nostre chiese, a ricercare nuovi percorsi di riconciliazione, un rinnovato impegno teologico e pratiche trasformative, fiduciosi che questi ci condurranno anche verso una comunione più profonda. Nell’articolare (1) la nostra fede comune, (2) la nostra missione condivisa e (3) la nostra visione di unità vissuta, la Conferenza Mondiale di Wadi El Natrun (2025) spera di rivitalizzare la testimonianza della Chiesa. Ispirati dallo Spirito Santo, speriamo di poter incarnare la preghiera di Cristo: “che tutti siano una sola cosa” (Giovanni 17:21 [NRSV]).

 

III. Fede

 

8. La fede non è teoria, ma trasforma la nostra vita quotidiana: siamo chiamati non solo ad apprendere la fede, ma a “camminare nella fede” (2 Cor 5,7). La fede ci richiede di definire la dottrina e cosa significhi credere veramente, ma comprende anche fedeltà, fiducia e lealtà. La vita cristiana è fede vissuta insieme agli altri; la nostra fede è confessata e messa in pratica insieme. La fede è alla base della nostra vita liturgica e di preghiera: crediamo a ciò che preghiamo e preghiamo ciò che crediamo. La fede cerca di apportare una trasformazione, non solo ai credenti, ma anche al mondo.

 

9. La fede trinitaria – nicena – è alla base dell’approccio adottato da Fede e Costituzione fin dalle sue origini ed è affermata da tutte le chiese membri del CEC. In altre parole, che usino o meno il Credo niceno liturgicamente, le chiese da cui proveniamo hanno radici comuni nella fede apostolica; adorano il Dio Uno e Trino, Padre, Figlio, Spirito Santo; e affermando la fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, venuto per salvare il mondo. Mentre commemoriamo il Concilio di Nicea, riconosciamo con gratitudine i fondamenti teologici ed ecclesiologici posti dal Credo niceno-costantinopolitano (di seguito denominato semplicemente Credo niceno), dai canoni di Nicea e dalla difesa da parte del concilio di una data condivisa per la celebrazione della Pasqua.

 

10. Basandosi su questi fondamenti, la Chiesa in ogni epoca è chiamata sia a dichiarare che a mostrare come vivere fedelmente in contesti mutevoli e diversificati. Al tempo di Nicea, la Chiesa era in crisi e l’Impero romano sotto pressione, sia internamente che esternamente. L’idea di una Conferenza Fede e Costituzione fu proposta per la prima volta alla Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo nel 1910, ma la pianificazione fu ritardata dalla Prima Guerra Mondiale e, nel 1927, la Conferenza di Losanna fu influenzata dal collasso politico e dall’instabilità economica successivi a quel conflitto. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, proposto nel 1937, nacque nel 1948, sulla scia della Seconda Guerra Mondiale. Oggi, cristiani e chiese in tutto il mondo affrontano sfide simili, specifiche dei loro contesti, mentre cercano di vivere la loro fede in Cristo attraverso la collaborazione nella missione e nel servizio. Le convinzioni sull’importanza di tale fedele collaborazione ai nostri giorni sono minacciate dal secolarismo, dal relativismo e dal fondamentalismo religioso. Le Chiese sono chiamate a parlare con una voce profetica – che è anche una voce morale ed etica – al loro popolo, ai loro governi e al mondo intero.

 

11. Alcuni mettono in dubbio l’importanza della fede. Il secolarismo insistente liquida la fede stessa come irrazionale o irrilevante per le realtà della vita contemporanea. Tuttavia, affermiamo che la fede cristiana non è una fede cieca, ma una risposta coraggiosa e attiva alla rivelazione e all’amore di Dio. Essa si confronta con le realtà del mondo, dando ai credenti il ​​potere di resistere e agire insieme nella speranza. Mentre ogni nuova generazione cerca significato e identità, pur confrontandosi con la pressione dei coetanei e il dubbio, affermiamo la necessità di cuori aperti e di un discepolato che duri tutta la vita. Lo stile di vita cristiano è radicato in una relazione d’amore con Dio, con noi stessi e con gli altri, e promuove relazioni giuste, consapevoli del desiderio di Dio di manifestarsi per la pienezza della vita tra tutti, soprattutto nella nostra esperienza quotidiana. Confessiamo con Agostino: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Confessioni, 1.1.5). La fede non è impersonale, ma una relazione vissuta: personale e comunitaria.

 

12. Alcuni mettono in dubbio l’importanza della dottrina. Il relativismo radicale sostiene che insegnare la verità sia irrilevante e divisivo. Affermiamo che ciò in cui crediamo riguardo a Dio influenza il nostro modo di vivere e di relazionarci con gli altri. La nostra fede condivisa nella Trinità come comunione d’amore ci consente e ci richiede di confrontarci onestamente con le differenze dottrinali e religiose. Gli esseri umani, creati a immagine di Dio, sono chiamati a riflettere questa comunione trinitaria nel modo in cui amano Dio, gli altri e la creazione di Dio.

 

13. Alcuni mettono in dubbio l’importanza dell’accettazione reciproca. Razzismo, ingiustizia di genere, discriminazione verso le minoranze, xenofobia e violazioni dei diritti dei popoli indigeni, dell’acqua e della terra sono espressioni interconnesse del peccato. Il fondamentalismo religioso nega il rispetto per la fede altrui, coltivando esclusivismo e fanatismo, spesso in nome della verità o della fede. È una minaccia non solo per l’unità e la pace, ma anche per la vita stessa: milioni di persone in tutto il mondo – cristiani e non cristiani – subiscono persecuzioni fondamentaliste. La risposta cristiana dovrebbe essere una fede e una testimonianza senza paura, dire la verità al potere, un discernimento lucido del peccato che sfida con amore coloro che opprimono, anche quando si trovano di fronte alla persecuzione e alla morte. Rifiutiamo la violenza, soprattutto quella che prende di mira le minoranze e i gruppi vulnerabili. La fede forma il modo in cui i cristiani vivono e amano: la fede non è teorica e incidentale, ma pratica e trasforma la vita.

 

14. In un mondo che si interroga su cosa significhi essere umani alla luce degli sviluppi tecnologici e sociali contemporanei, attraverso la fede affermiamo che la nostra fede in Dio, che ha creato ogni persona a sua immagine, implica una visione teologica olistica dell’essere umano, che include l’inalienabile dignità di ogni persona. In un mondo segnato dalla discriminazione, affermiamo con il testo di Fede e Costituzione, Razzismo in teologia e Teologia contro il razzismo (1975), che la creazione di tutte le persone a immagine di Dio conferisce a ciascuna di esse una dignità che dovrebbe essere rispettata. In un mondo fratturato da frammentazione e divisione, lacerato da guerre, ingiustizie e incertezze, la nostra fede informa e sostiene il nostro cammino non solo verso una visione comune della Chiesa, ma anche verso un’azione condivisa. È spesso nella condivisione della missione di Dio che si rivela un terreno comune tra strutture e identità ecclesiali apparentemente incompatibili. Come cristiani e chiese, affrontiamo queste sfide insieme, ascoltando, dialogando e lavorando insieme, e nutrendo la visione di un futuro in cui una Chiesa unita articola e vive la propria fede in modo convincente.

 

15. Riconosciamo che la fede può essere scossa da queste evidenti disuguaglianze, dall’accumulo di ricchezza e potere nelle mani di pochi, dalla mancata attenzione al bene comune, dall’uso della violenza e dalla conseguente perdita della dignità umana, dallo sfruttamento di persone vulnerabili e dalla devastazione del creato e dalla conseguente crisi climatica. In alcuni contesti, cristiani e chiese sono stati plasmati dalle forze distruttive che minacciano il mondo, diventandone anche complici. Sono chiamati a denunciare insieme queste forze, proclamando e vivendo il messaggio di speranza di Cristo. Le chiese locali svolgono un ruolo importante nel condividere questa speranza attraverso la loro fede, il loro lavoro e la loro testimonianza, a volte in circostanze molto difficili. I cristiani rimangono persone di speranza, proclamando che Gesù Cristo ha vinto il potere della morte attraverso la sua risurrezione. «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera», esorta Paolo alla congregazione di Roma (Rm 12,12). La fede incoraggia tutti i cristiani e le chiese ad affrontare queste sfide non con disperazione, ma con speranza.

 

IV. Missione

 

16. Cristo disse: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). La Chiesa, attraverso la testimonianza dei discepoli e degli apostoli inviati da Cristo, ispirati e rafforzati dalla potenza dello Spirito Santo, si è estesa fino a comprendere tutte le nazioni. Come chiese e come singoli cristiani, anche noi rendiamo testimonianza al Dio Uno e Trino nel, al e per il mondo, partecipando alla missione di Dio, la missio Dei. Il duplice mandato di proclamare il Vangelo e di impegnarsi nel servizio è fondamentale per la missione della Chiesa e per un discepolato trasformativo. Il Credo niceno afferma che questa chiamata si manifesta nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. La fede cristiana afferma che l’incarnazione del Verbo di Dio è «per noi e per la nostra salvezza». Il compito missionario della Chiesa include la condivisione di questa fede, testimoniando il modo in cui la salvezza trasforma sia la vita individuale che il mondo.

 

17. Come afferma “La Chiesa: Verso una visione comune”, la Chiesa è chiamata a essere segno e serva del disegno di Dio per il mondo. La Chiesa è un’anticipazione e uno strumento del proposito di Dio di “ricapitolare tutte le cose con Cristo come capo” (Ef 1,10). Condividere la buona novella e articolare i modi in cui il regno di Dio irrompe in questo mondo sono parte integrante dell’identità cristiana. Far conoscere Cristo, testimoniare al mondo, richiede parole e opere, proclamazione e atti d’amore. Questa testimonianza si dispiega attraverso la proclamazione, la testimonianza profetica e il servizio all’umanità e al creato. Gesù dichiara: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). L’amore, che si incarna e si attua e che ha la saggezza di distinguere una persona dai suoi errori, è il principale segno esteriore dell’autentica fede cristiana.

 

18. Per partecipare alla missione di Dio e camminare insieme, accompagnandosi a vicenda, cristiani e chiese devono essere radicati nella convinzione fondamentale della loro identità comune. Il Concilio di Nicea cercò l’unità e, di conseguenza, molti cristiani furono uniti nella fede, nella testimonianza e nel servizio. La natura confessionale e dossologica del Credo niceno, per questo motivo, costituisce il fondamento della missione della Chiesa, chiamando coloro che confessano la fede a condividerla. La ricerca dell’unità nella fede è per questo anche espressione di una missione comune. Questa fede condivisa nella Trinità e in Cristo, vero Dio e vero uomo, è la fede che la Chiesa è inviata a condividere con il mondo. È la fede che cristiani e chiese sono chiamati a credere, professare e vivere insieme.

 

19. L’apostolo Paolo si chiede se Cristo sia stato divisivo. Come disse la prima Assemblea del CEC (1948): “Cristo ci ha fatti suoi e non è divisivo. Cercandolo, ci troviamo gli uni gli altri”. Ci impegniamo a mettere Cristo al primo posto e a superare le nostre divisioni. Lo “scandalo” della divisione cristiana, sia tra le confessioni che all’interno di esse, compromette la testimonianza delle Chiese al Regno di Dio. Siamo chiamati a proclamare la buona novella del Vangelo lavorando insieme, non in competizione. L’obiettivo della nostra unità non è il beneficio delle Chiese, ma l’adempimento della preghiera di Gesù: “affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Sebbene non dovremmo trascurare il modo in cui la diversità e persino il disaccordo possono contribuire positivamente alla ricerca della verità, all’integrità teologica o alla missione contestuale, tutti i cristiani e tutte le Chiese sono chiamati a confessare e pentirsi del peccato di disunione e a riorientare la loro missione e il loro evangelismo come affermazione della ricchezza dell’unità.

 

20. Sebbene il Concilio di Nicea fosse intrecciato con la vita politica dell’Impero Romano, i padri niceni furono in grado di confessare i principi fondamentali della fede cristiana in quelle circostanze storiche e politiche. Contrariamente a questo spirito, alcune Chiese e organizzazioni cristiane hanno diffuso – e talvolta imposto – il Vangelo in modi che sono stati influenzati e complici con sistemi, interessi e poteri coloniali e di altro tipo oppressivi. Storicamente, i cristiani non solo hanno sperimentato oppressione e persecuzione, ma in alcuni casi hanno anche oppresso e perseguitato loro stessi. Riconosciamo la sofferenza di molti indigeni in nome della missione. Alcune chiese, riconoscendo la propria complicità nell’ingiustizia e nella disumanizzazione, hanno iniziato a chiedere perdono a Dio e ai loro fratelli in Cristo. Ci impegniamo ad assumere una visione lucida della nostra storia come chiese.

 

21. Tutti i cristiani e tutte le chiese sono chiamati alla riflessione e al discernimento riguardo al rapporto tra la loro missione di annunciare la fede e la loro necessità di lottare contro le forze maligne e distruttive all’opera nel mondo, ricordando sempre che «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38).

 

22. Riconoscendo che siamo nel mondo ma non del mondo (Gv 17,16), affermiamo che la nostra testimonianza è rivolta al mondo perché «Dio ha tanto amato il mondo» (Gv 3,16), perché in Cristo Dio ha riconciliato il mondo a sé (2 Cor 5,19) e perché «abbondano nella speranza per la potenza dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Il documento del CEC, Insieme verso la vita (2013), afferma che la missione è per i cristiani “un’urgente esigenza interiore (1 Cor 9,16) e persino una prova e un criterio per la vita autentica in Cristo”. Esso invita a riflettere sul rapporto della Chiesa con l’unità dell’umanità, e anche con l’unità del cosmo come totalità della creazione di Dio. L’unità è radicata nell’amore di Dio per tutta la creazione e deriva dalla nostra comprensione della salvezza e della Chiesa.

 

23. Come ci ricorda ogni anno la celebrazione ecumenica del Tempo del Creato, siamo parte della creazione di Dio e riconosciamo che le chiese devono considerare le implicazioni della koinonia per una cura responsabile del mondo di Dio, una giusta condivisione delle sue risorse, la preoccupazione per i poveri e il contrasto alle forze dell’emarginazione. Come Chiese siamo chiamati a una missione e a un’evangelizzazione reciprocamente rispettose, che ascoltino le voci di tutti e si prendano cura del gemito della creazione (Rm 8,22), cercando di portare l’intera creazione, santificata e guarita dalla Parola di Dio, alla comunione con Dio in Cristo. I cristiani non possono rimanere in silenzio quando la dignità umana e l’integrità della creazione vengono violate; né possono ignorare le tensioni e le lotte di potere tra Chiesa e Stato che a volte compromettono la voce profetica della Chiesa. Siamo chiamati a offrire una contestualizzazione fedele del Vangelo, impegnandoci in un dialogo interconfessionale e interculturale, radicato in un’onesta autovalutazione e in una critica reciproca che conduca anche a un reciproco arricchimento.

 

24. Testimoniamo con fiducia l’amore incrollabile di Dio, rivelato in Cristo e acceso dallo Spirito Santo, attraverso il quale tutte le cose saranno riconciliate. Questo è, come ha affermato l’XI Assemblea del CEC a Karlsruhe (2022), “un ecumenismo del cuore”, radicato nell’amore del Dio uno e trino, che offre questo amore divino al mondo. Come Chiese e come singoli cristiani, siamo segni e servitori dell’irrompere del futuro di Dio nel presente. “L’amore non verrà mai meno” (1 Cor 13,8). Testimoniamo la convinzione che un mondo diverso è possibile e che la nostra ricerca dell’unità è un aspetto essenziale di tale testimonianza.

 

V. Unità

 

25. Il Concilio di Nicea aspirava a essere un concilio di unità: unità nella fede nel Dio uno e trino, unità nelle strutture ecclesiali e unità nel celebrare insieme la Pasqua. Affermiamo la fede nicena della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, e ci chiediamo in particolare cosa significhi essere una. L’anniversario del Concilio di Nicea ci chiama a ricordare che l’unità dei cristiani è radicata nella fede apostolica della Chiesa primitiva, come rivelata nelle Scritture e confessata nel Credo niceno. Riconosciamo che gli sviluppi successivi hanno portato nuove sfide nelle relazioni ecclesiali. Tuttavia, la fede nicena continua a rappresentare un fondamento dottrinale condiviso e una testimonianza unificante della verità del Vangelo. Riconosciamo che le differenze emerse nella storia successiva della Chiesa hanno portato non solo alla divisione ma, con l’aiuto della Provvidenza di Dio, a una ricca diversità. Tuttavia, nonostante l’arricchimento della riflessione teologica prodotto da queste divisioni, esse hanno anche minato l’unità dimostrata a Nicea. Affermiamo che l’unità della Chiesa è radicata nell’unità delle tre persone della Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e nella relazione tra loro che esprime la piena e perfetta comunione (koinonia). Questa unità trinitaria si riflette non solo nella fede comune, ma anche nell’accettazione reciproca – in conformità con i canoni di Nicea – del battesimo trinitario da parte della maggior parte delle nostre Chiese. Sebbene esistiamo come individui, attraverso il battesimo affermiamo di esistere nella nostra relazione con Dio e di diventare un solo corpo con e in Cristo. Attendiamo con ansia il tempo in cui la nostra unità potrà essere pienamente espressa anche nella condivisione dell’Eucaristia e nel riconoscimento dei reciproci ministeri. Continuiamo a ricercare l’adempimento della preghiera di Cristo al Padre: “che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17:21).

 

26. L’unità visibile è stata l’obiettivo del movimento ecumenico fin dal suo inizio. Affermiamo, tuttavia, che questa unità non è l’obiettivo ultimo in sé e per sé, ma è un aspetto essenziale della nostra testimonianza comune nel mondo e per il mondo, e ne costituisce un fondamento credibile. Riconosciamo che l’unità dei cristiani non può e non deve essere identificata esclusivamente con l’unità istituzionale: la nostra esperienza vissuta di unità dei cristiani nasce e si afferma in modo significativo nel nostro comune impegno per la missione di Dio. Ciononostante, vi sono e rimangono importanti aspetti ecclesiali del nostro cammino verso l’unità, alcuni dei quali continuano a presentare sfide considerevoli. Predicare insieme la divinità di Cristo non risolve le differenze dogmatiche, ecclesiali e liturgiche. Ecclesialmente, la nostra unità diventa visibile nella comune confessione della fede apostolica; attraverso il reciproco riconoscimento e la celebrazione del Battesimo e dell’Eucaristia; nel riconoscimento da parte dei ministri della Chiesa della loro responsabilità condivisa nella predicazione del Vangelo, nell’amministrazione dei sacramenti e nel mantenimento dell’unità tra i fedeli; e nei passi verso strutture di supervisione condivise. Questi aspetti sono stati esplorati nei documenti di convergenza Fede e Costituzione del CEC, Battesimo, Eucaristia, Ministero (1982) e La Chiesa: Verso una visione comune (2013). Celebriamo i molti modi in cui le chiese si sono mosse per collaborare più strettamente sin dall’inizio del movimento ecumenico, un secolo fa.

 

27. Riaffermiamo il nostro impegno in questa ricerca dell’unità dei cristiani. Allo stesso tempo, riconosciamo che l’unità dei cristiani non può essere (ri)stabilita solo da testi concordati. Piuttosto, deve anche essere vissuta nella vita cristiana quotidiana: nella preghiera e nello studio condivisi della Bibbia, nella costante accoglienza del patrimonio e della tradizione della Chiesa primitiva, negli incontri personali e nelle riunioni tra fedeli, teologi e leader ecclesiastici di diversa estrazione confessionale, e nel servizio comune al e nel mondo. L’unità dei cristiani si realizza e si manifesta quando le Chiese servono insieme l’umanità, offrendo un sostegno integrato all’umanità ferita, a tutti i livelli: socioeconomico, etico-morale ed emotivo. L’unità è una chiamata a uno stile di vita che riflette e partecipa alla vita della Trinità. In questo senso, l’unità non è qualcosa che possiamo raggiungere solo con i nostri sforzi, ma è piuttosto un dono di Dio che si rivela nel modo in cui i cristiani amano, servono e pregano insieme, pur continuando a lavorare per superare le nostre differenze. L’obiettivo dovrebbe essere quello di mantenere l’unità dove già esiste, rivelarla dove è stata oscurata e recuperarla dove è andata perduta. Ciò deve avvenire sia a livello istituzionale che personale. L’esperienza personale approfondisce la consapevolezza che i singoli cristiani e le chiese sono già connessi nella loro fede in Cristo come Dio e Salvatore. Queste relazioni personali a loro volta plasmano e plasmano le relazioni tra le nostre chiese. Allo stesso tempo, riconosciamo che anche la vita istituzionale delle nostre chiese richiede una trasformazione affinché questa rivelazione di unità si realizzi. La ricerca dell’unità richiede quindi che l’intero popolo di Dio si impegni in un movimento verso l’unità dei cristiani, a livello locale, regionale e globale, sempre al servizio della missione di Dio.

 

28. Il movimento ecumenico aspira all’unità cristiana visibile in una Chiesa riconciliata, una risposta alla preghiera di Cristo stesso, in grado di dare una testimonianza affidabile della fede cristiana che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, si è fatto uomo per redimere l’intera creazione. L’unità dei cristiani è un dono dello Spirito Santo che ci sfida, come singoli cristiani e come Chiese, a lavorare per l’unità dell’intera famiglia umana. La testimonianza cristiana ci chiama a superare i confini: tra nazioni e generazioni, tra popoli e culture diverse. Ci impegniamo per un’unità radicata nella giustizia, che coinvolga e sia attenta alle voci di tutti, compresi i bambini, le donne e gli uomini, coloro che subiscono le forze dell’emarginazione e sono costretti ai margini delle nostre società, e l’intera creazione. Cristiani e Chiese dovrebbero sempre ricordare che saranno interrogati e dovranno rispondere di ciò che hanno fatto per il prossimo (cfr. Mt 25,31-46). In questi tempi di ansia, affermiamo la nostra speranza cristiana come disciplina per trovare la grazia: coltivare la giustizia e prosperare, e procedere insieme.

 

29. Questa chiamata a un’unità giusta e piena di speranza ci ricorda che l’unità dei cristiani è un’anticipazione dell’unità di tutti sotto il regno di Dio. Questa non è solo una speranza per il futuro, ma un’irruzione del regno di Dio in questo mondo, che è già iniziato ora, come Gesù proclamò: “Il regno dei cieli è vicino” (Mt 10,7). Siamo chiamati a vivere la nostra speranza in questa unità ora, rendendola tangibile e visibile in un’unica fede, testimonianza e servizio, che nascono dalla nostra fede condivisa nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo!

 

Appello a tutti i cristiani: Messaggio della Sesta Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione

 

Amati in Cristo, in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, la Sesta Conferenza Mondiale su Fede e Costituzione si riunisce in Egitto, la terra dove la Sacra Famiglia trovò rifugio, la terra da cui Dio chiamò il suo Figlio (Os 11,1; Mt 2,15). Siamo stati travolti dalla generosa ospitalità della Chiesa Copta Ortodossa ed esprimiamo la nostra profonda gratitudine a Sua Santità Papa Tawadros II, ai suoi confratelli vescovi e a tutto il suo popolo per la loro calorosa accoglienza. Siamo rimasti profondamente colpiti dalla testimonianza e dalla missione della Chiesa Copta Ortodossa non solo ora, ma attraverso i secoli. Rendiamo omaggio a questa antica terra dove molte generazioni hanno vissuto, respirato e vissuto in Dio.

 

Siamo consapevoli che qui in Africa e in Medio Oriente, come in altri luoghi del mondo, molte persone, compresi i cristiani, oggi affrontano persecuzioni e soffrono orribili violenze, minacce esistenziali, disumanizzazione e totale disprezzo dei diritti umani. In un mondo segnato da divisione e polarizzazione, da violenza e guerra, e da apatia e complicità di fronte alle ingiustizie che ne derivano, la chiamata di Cristo all’unità (Giovanni 17:21) rimane più urgente che mai.

 

Ci rallegriamo che l’ultimo secolo di lavoro di Fede e Costituzione abbia rivelato che su molte questioni siamo più d’accordo che in disaccordo. Di fronte alla persistente disunione, la Sesta Conferenza Mondiale prosegue il cammino ecumenico verso un’unità visibile. Basandosi sull’eredità delle precedenti conferenze di Fede e Costituzione – da Losanna (1927) a Santiago de Compostela (1993) – questo incontro riflette sui progressi compiuti e sulla persistente chiamata a incarnare la preghiera di Cristo: “che tutti siano una cosa sola” (Giovanni 17:21).

 

Condividiamo la fede in Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – che ci unisce attraverso il tempo e le tradizioni. La fede trinitaria non è semplicemente un’eredità da preservare, ma acqua viva da offrire attraverso parole e azioni. Siamo chiamati non solo a credere, ma a camminare per fede (2 Cor 5,7): a vivere vite di speranza, amore e trasformazione per la guarigione e la riconciliazione delle nazioni e della buona creazione di Dio.

 

La missione è radicata nell’identità stessa della Chiesa, il cui compito è proclamare il Vangelo. La fede del Credo niceno non è incentrata su se stessa, ma ci ricorda che la Chiesa esiste per essere inviata nel mondo. Per le chiese, in alcuni contesti, la missione si è intrecciata con storie di schiavitù, colonialismo e potere. Pertanto, ai nostri giorni, la missione deve essere segnata dal pentimento e da un riorientamento verso la decolonizzazione e la giustizia, la riconciliazione e l’unità.

L’unità è più di un accordo: è comunione. Radicata nel battesimo, espressa nella preghiera condivisa, l’unità inizia a essere visibile quando viviamo insieme, muovendoci verso la reciproca condivisione dell’Eucaristia e il riconoscimento dei rispettivi ministeri. L’unità inizia a essere visibile anche quando viviamo insieme in modi che incarnano fede, speranza e amore: non in isolamento, ma in solidarietà con coloro che sono emarginati per genere, razza, povertà, disabilità o devastazione ecologica. Il Credo niceno, antico ma sempre nuovo, ci ricorda che condividiamo un dono e una chiamata all’unità piena e visibile: un’unità che Fede e Costituzione si impegna a rendere visibile nella vita della Chiesa attraverso la ricerca di una comprensione più profonda e di una dottrina condivisa.

 

Dove si trova ora l’Unità Visibile? In questo cammino in corso, questa è la nostra chiamata: rinnovare il nostro impegno per la fede, la missione e l’unità in Cristo Gesù; ascoltare insieme lo Spirito Santo; camminare insieme come pellegrini: come figli del Padre che imparano insieme a vivere la nostra fede, speranza e amore, e nella pratica della giustizia, della riconciliazione e dell’unità. Aspiriamo a vivere l’unità per la quale Cristo ha pregato, affinché il mondo possa credere e sperimentare i doni di Dio di guarigione, giustizia e vita abbondante.

 

 

Photo: Albin Hillert/WCC