Dio e l’arte della cura

Un giorno una parola – commento a Geremia 30, 12; 17

 

Così parla il Signore: «La tua ferita è incurabile, la tua piaga è grave. Ma io medicherò le tue ferite, ti guarirò dalle tue piaghe»

Geremia 30, 12; 17

 

Voi sapete che Gesù Cristo è stato manifestato per togliere i peccati; e in lui non c’è peccato

I Giovanni 3, 5

 

Geremia è il profeta chiamato a “demolire e costruire”, e per gran parte del suo libro prevale il tema della demolizione. Ma oggi tocchiamo il cuore della novità di Dio: Egli si prende cura.

“La tua ferita è incurabile”. Non c’è delicatezza in questa esclamazione. Israele è un malato terminale. Poi arriva quella parola che rovescia ogni logica: “tuttavia”. Qui scopriamo qualcosa di straordinario: non è Israele a cambiare, è Dio che cambia. Quando vede il suo popolo abbandonato e deriso, qualcosa si risveglia nel cuore divino: una profonda tenerezza.

 

La guarigione di Dio non è magica, né istantanea. È un processo, è l’arte della cura. Fasciare è un gesto intimo, delicato. È guardare le piaghe senza voltarsi. È avvicinarsi alla sofferenza senza paura del contagio. È il gesto della madre che si prende cura del figlio ferito, dell’infermiere che non abbandona il malato.

Dio non guarisce a distanza. Si china sulle nostre ferite, le tocca, le fascia con cura. Che contrasto con la nostra cultura del fast: fast food, fast fashion, fast relationships. Tutto deve essere veloce, e se qualcosa si rompe la si butta via.

 

Ma Dio non conosce l’obsolescenza programmata. Non ha creato un’umanità usa-e-getta. Dove noi vediamo scarti, Lui vede persone da curare. Dove noi vediamo problemi da eliminare, Lui vede ferite da fasciare. Non esiste un popolo da sterminare perché “inferiore” o “della religione sbagliata”. Anche quando Israele è colpevole, Dio non parla di sterminio. Parla di cura. Questo è il cuore dell’Evangelo, contro ogni tentazione genocidaria della storia umana.

Come credenti viviamo in un paradosso: siamo simultaneamente feriti incurabilmente e perfettamente curati. La nostra fragilità non è un ostacolo all’amore di Dio: è il luogo in cui il suo amore si manifesta.

 

Ma questo testo è anche una sfida. Se Dio ha scelto la cura invece della condanna, allora anche noi siamo chiamati a questo cambiamento radicale. Cosa accadrebbe se imparassimo a fasciare invece di ferire? Se imparassimo a guarire le piaghe invece di lacerare?

«Io infatti ti fascerò e ti guarirò delle tue piaghe”: questa è la nostra promessa. Anche oggi, davanti ai conflitti mortali che continuano a macchiare la storia umana, Dio ci ricorda che si può fare diversamente. Quando la diagnosi era di morte, Dio ha cambiato. Ha scelto la cura. Amen.