Un’alba di pace a Firenze: credenti e laici in cammino


«Dalla notte della paura alla luce della speranza: camminando insieme per la pace», così si è intitolata la marcia notturna interreligiosa tenutasi lo scorso finesettimana

 

Nella notte tra sabato 20 e domenica 21 settembre si è svolta a Firenze una camminata per la pace che resterà nella memoria di molti come un’esperienza unica. Con partenza dalla Comunità delle Piagge e arrivo all’Abbazia di San Miniato al Monte, sopra il piazzale Michelangelo che domina la città [nella foto, ndr], il cammino ha unito comunità cattoliche e protestanti, credenti musulmani ed ebrei, insieme a tante realtà laiche impegnate per la giustizia e la convivenza.

Non è stata una semplice manifestazione, né solo un gesto simbolico. È stato piuttosto un pellegrinaggio civile e spirituale, nel quale il passo di ciascuno ha trovato senso solo nella comunione con quello degli altri. La pace, infatti, non è proprietà di una religione, di una tradizione o di una cultura: è un dono che Dio affida all’intera umanità, e una responsabilità che ci interpella tutti.

 

Abbiamo camminato di notte, e in silenzio. Due scelte forti e non casuali. La notte, con le sue ombre, è immagine eloquente delle tenebre che gravano sul mondo: guerre, violenze, divisioni, ingiustizie. Ma proprio lì, nella notte, abbiamo voluto muoverci insieme: come testimoni di una speranza che non si arrende e di una luce che già si intravede. Il silenzio, a sua volta, ci ha liberati dalle parole superflue, lasciando che fossero i passi e i respiri a parlare. È stato come un’unica preghiera fatta con il corpo, un linguaggio universale comprensibile a tutti.

 

Lungo il percorso, ogni sosta ha portato con sé un dono particolare. In piazza Ognissanti, le parole del nostro pastore battista Carmine Bianchi hanno richiamato la responsabilità evangelica di essere costruttori di pace e testimoni del Vangelo nel cuore della città. In piazza Duomo, il grido comune di tutti i partecipanti “Non vogliamo la guerra”, sollecitato dall’Arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli. In sinagoga, siamo stati accolti come fratelli, nella gratitudine di un incontro che spezza diffidenze e pregiudizi. Di fronte alle parole sofferenti dell’imam, che ha ricordato i drammi delle guerre che colpiscono popoli e famiglie, il cammino ha assunto ancora più il volto della solidarietà. E nella voce della Comunità Bahá’í, che ci ha guidato in una riflessione profonda, si è accesa la consapevolezza che la pace è un bene indivisibile, che nessuno può conquistare da solo. Particolarmente emozionante è stata l’accoglienza della chiesa valdese: a essa mi lega un profondo affetto, perché proprio lì ho incominciato il mio percorso di fede. Nell’austerità del tempio hanno risuonato le parole intense e luminose del pastore Francesco Marfè, capaci di unire memoria e speranza, rigore e delicatezza evangelica.

 

Un momento indimenticabile è stato il grande cerchio di silenzio in piazza della Signoria: tre minuti in cui centinaia di persone, diverse per fede e convinzioni, si sono unite in un ascolto profondo e comune. Quel silenzio non era vuoto, ma gremito di presenza: come se lo Spirito stesso respirasse nei nostri cuori, trasformando il cerchio in un segno di comunione universale.

Ciò che è accaduto in quei momenti è stato autenticamente sacro: non per gli edifici che ci hanno ospitato, ma per l’incontro. Ho visto la grazia di Dio nella presenza reciproca, nel rispetto e nell’ascolto che hanno unito persone di fedi e convinzioni differenti. Ho riconosciuto la forza dello Spirito nei gesti di ospitalità, negli abbracci tra credenti di tradizioni diverse, nella scelta di tanti laici di condividere il cammino come segno di responsabilità comune.

 

Alla fine, l’arrivo all’Abbazia di San Miniato nel piazzale Michelangelo, all’alba, ha sciolto la notte. Il sole che si alzava su Firenze non era solo il segno di un nuovo giorno: era la conferma che la pace è possibile, anche se fragile; che il buio non ha mai l’ultima parola. In quel piazzale non eravamo più cattolici, protestanti, musulmani, ebrei o laici: eravamo fratelli e sorelle, figli e figlie della stessa terra, creature dello stesso Dio che custodisce ogni vita.

Come rappresentante della comunità battista di Firenze e co-organizzatore dell’evento, porto con me una responsabilità rinnovata. La camminata non si è conclusa con l’alba, ma ci ha consegnato un compito: rendere concreto, giorno per giorno, ciò che abbiamo testimoniato con i nostri passi. La pace non è un’utopia, ma una via da scegliere e percorrere con coraggio.

 

Quell’alba di pace a Firenze ci ha ricordato che camminare insieme è possibile. Ed è forse l’unico modo per aprire un futuro diverso.

 

Articolo aggiornato il 22/09/2025 alle ore 17.00