La guerra di Emilio Tourn: uno scalpellino da Rorà alle steppe russe

Un interessante libro ci invita a riflettere sul (purtroppo sempre più attuale) tema della guerra, vissuta attraverso gli occhi di un rorengo che si trovò in Russia al fianco di Mario Rigoni Stern

 

Ci sono esperienze che segnano le persone. Altre che segnano intere generazioni. Purtroppo quella della guerra è una di quelle che segnano intere generazioni. In primis i civili che la subiscono e anche i militari che la vivono in prima persona. Uno dei resoconti più lucidi dell’“invasione” italiana in Russia durante la Seconda Guerra mondiale è quello di Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, edito da Einaudi nel 1953. Nelle pieghe di quel drammatico diario emerge una figura che nell’ultimo libro di Giacomo Dotta* diventa protagonista. Parliamo di Emilio Tourn, scalpellino da Rorà (recentemente il Comune gli ha dedicato un polo culturale), che si ritrova catapultato sulle rive russe del Don prima, e nei campi di prigionia tedeschi poi per aver rifiutato di combattere con l’Asse.

 

Dotta ricostruisce nel libro, che conta la preziosa introduzione di Giuseppe Mendicino, biografo ufficiale di Rigoni Stern, tutta la vita di Tourn, dalla sua nascita a tutta l’esperienza militare. Partecipa all’invasione dell’Albania e poi dopo alcune vicissitudini finisce nel battaglione Vestone nella divisione Tridentina, per lui sarà la svolta. Con il Vestone compie un viaggio lunghissimo, 3000 chilometri nelle famose tradotte che portano gli alpini al fronte (da cui torneranno pochissimi).

 

La narrazione si sofferma a lungo sul ripiegamento in cui Tourn ricopre un ruolo fondamentale trasportando parte della mitragliatrice, la “pesante”, che permetterà di rompere l’accerchiamento di Nikolajevka, di uscire dalla sacca dei russi e quindi di salvarsi la vita. Almeno per il momento. Sì perché questa generazione deve ancora provare la durezza dei campi

di internamento per i militari. Come Rigoni Stern e pochi altri,

 

Tourn uscirà vivo anche da questa esperienza e tornerà a Rorà a fare lo scalpellino fino alla sua prematura morte, nel 1963. Nelle ultime pagine del libro ci sono anche le lettere che i due commilitoni si scambiarono nel dopoguerra, a suggellare un legame nato in una situazione segnante e mai più dissolto. Rigoni comporrà l’epitaffio che venne inciso sulla lapide di Tourn.

 

 

*Giacomo Dotta, Tourn il piemontese, Bookabook, 20