La benedizione, riconoscimento del volto di chi è lontano

Un giorno una parola – commento a Genesi 49, 25

 

 

Dio ti aiuterà e l’Altissimo ti benedirà

Genesi 49, 25

 

Il vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede

Romani 1, 16

 

Nel romanzo Gilead di Marilynne Robinson, il pastore John Ames parlando del giovane Jack Boughton, altro forte protagonista del romanzo, dice che forse non si sentirà mai sentire una parola buona sul suo conto, ma desidera far conoscere “la bellezza che c’è in lui”.

Jack è estraneo alla comunità, pellegrino, sempre lontano per cercare una identità che non trova perché nessuno lo ha accolto, perché la sua identità non gli è stata data in intensità di riconoscimento. Perché nessuno lo ha benedetto. Il suo volto è quello dell’“altro” che non vogliamo riconoscere. Il pastore Ames, dopo avergli espresso il desiderio di dargli la benedizione, e dopo avere ottenuto una risposta di incerta convinzione ma di ascolto e di accettazione umile, lo benedice: “L’ho benedetto con tutti i miei poteri, quali che siano, pronunciando la benedizione dei Numeri, naturalmente: Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio […] Non esistevano parole più belle di quelle”.

Si benedice sempre l’“altro”. La benedizione è il riconoscimento del volto di chi è lontano, come lo straniero. “Venite benedetti dal Padre mio perché ero straniero e mi avete accolto” (Matteo 25, 34-35).

 

Nel testo di oggi di Genesi, il Dio evocato da Giacobbe quando inizia la sua benedizione è il “Dio alla cui presenza hanno camminato i miei padri, Abramo e Isacco…” (cap. 48). Hanno camminato, come viandanti. E viandanti sono Giuseppe, straniero in Egitto, e i suoi fratelli, anch’essi approdati in quella terra straniera. Straniero era Giacobbe, “arameo errante”, che dovette lottare con Dio per essere riconosciuto, per essere benedetto. Tutti viandanti, tutti conoscitori delle lontananze. Tutti bisognosi di essere riconosciuti e di essere riportati a Dio. Amen.