Africa: le donne protagoniste della storia non sono un’eccezione
Spesso ridotte a comprimarie in una scena mediatica maschile, hanno contribuito alla resistenza contro la tratta e la colonizzazione, e fatto politica, sovente in prima linea
La questione di genere nella Storia, quella più remota ma anche quella recente, non è argomento diffuso. Nei discorsi pubblici le donne, salvo eccezioni dovute ai ruoli ricoperti, appaiono spesso come comprimarie. Secondarie rispetto alle figure maschili. Loro sì, protagonisti a pieno titolo. I media, dal canto loro, hanno contribuito a una sorta di omologazione del ruolo delle donne che quando sfuggono a certi parametri diventano figure eccezionali. È la sindrome della “prima che…”. La prima che ricopre l’incarico di presidente di una nazione, per esempio. La prima che pilota un volo di linea. La prima che esegue un intervento chirurgico difficilissimo. Un modo di raccontare, quello che insiste sull’eccezionalità, o meglio sull’eccezione, che di fatto – consapevolmente? – mette in ombra gli sforzi e le vite di donne altrettanto capaci; sminuisce il lavoro di tante altre (magari meno note) senza le quali non ci sarebbe stata quella “prima che…”.
Un modo di raccontare, insomma, che si guarda bene dal normalizzare l’impegno e il contributo femminile nei vari ambiti della società ma fa apparire determinati successi quasi come una stranezza, un caso. La cancellazione della partecipazione delle donne dalla Storia, fa parte di questo meccanismo. Una narrazione che privilegia eroine o ammaliatrici, scaltre manipolatrici di sovrani (passando sempre dalla camera da letto) o mogli e compagne votate al sacrificio, pie e devote o streghe dai poteri diabolici.
Con la Storia dell’Africa sub-sahariana, che qui ci interessa, l’operazione di manipolazione, oblio, cancellazione, è stata ancora più imperiosa. E questo per l’ovvia ragione che al dominio maschio/femmina va aggiunta la tirannia coloniale. La colonizzazione – territoriale, fisica e mentale – e prima ancora la tratta atlantica, ha voluto colonizzare (riscrivere) anche la Storia, o meglio scriverla a proprio vantaggio. E in questa operazione le donne, ancora una volta, sono quelle che hanno pagato di più. La storiografia successiva, spesso anche sostenuta dall’archeologia ha non solo stabilito che l’Africa è la culla dell’umanità – in un certo senso discendiamo tutti da Lucy, questo il nome dato ai resti dell’Australopithecus afarensis rinvenuti in Etiopia nel 1974 – ma che grandi insediamenti e imperi precoloniali dimostrano i gradi di civiltà raggiunti in Africa prima che gli europei ci mettessero piede: pensiamo al sito medievale di Gedi nel moderno Kenya, alla regione del Grande Zimbabwe o all’impero del Mali che comprendeva vaste regioni dell’Africa occidentale.
Che cosa c’entrano le donne con tutto questo? Recuperare la storia vuol dire oggi recuperare soprattutto quelle protagoniste, donne, che della storia sono state artefici, parti attive. Dal periodo precoloniale, passando per la resistenza alla tratta e ai colonizzatori, fino al periodo della lotta per le indipendenze. Donne che si sono organizzate o che hanno agito singolarmente, che hanno guidato eserciti e opposto rifiuti con atti concreti; donne che hanno scritto, parlato, agito. Hanno saputo esaltare le folle o muoversi con cautela ma con piani chiari e specifici.
La Storia africana è piena di donne protagoniste. Non solo eroine, ma persone comuni che si sono messe in prima linea per le loro comunità. Anche nei conflitti che hanno segnato questo continente e in eventi più recenti – le crisi post-indipendenza, i conflitti attuali in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, il diffuso terrorismo di matrice islamica – le donne africane non sono solo vittime. Una narrazione schematica è una narrazione pigra. E nello stesso tempo colpevole di minimizzare le complessità.
Solo un paio di nomi qui, al fine di stimolare la curiosità di saperne di più. Uno è del periodo precoloniale, l’altro di quello delle lotte per le indipendenze. La prima è la regina Nzinga che governò nel XVII secolo un territorio che oggi corrisponde all’Angola e che per circa trent’anni combatté i portoghesi sia sul campo di battaglia sia con azioni diplomatiche di sottile strategia; l’altra è Andrée Blouin, ribattezzata all’epoca “la donna più pericolosa d’Africa”. Panafricanista convinta, fu consigliera di molti uomini politici che stavano per diventare i primi leader delle nazioni africane indipendenti: citiamo Kwame Nkrumah (Ghana), Sékou Touré (Guinea), Patrice Lumumba (Congo). Per alcuni scriveva anche i discorsi che sarebbero stati pronunciati in pubblico. Non eccezioni, seppure eccezionali. Non figure isolate. Di nomi e di racconti come questi si possono riempire libri di storia.
Antonella Sinopoli è giornalista, direttrice di Voci Globali e fondatrice di AfroWomenPoetry, autrice del libro Black Sisters. Le donne e la guerra nell’Africa subsahariana (Infinito Edizioni). Sinopoli sarà al Festival delle migrazioni di Torino il 12 settembre alle 19 presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.