«Dio non è Zeus»

Il pastore Peter Ciaccio: «Dio non ci dà pesi che non possiamo portare, anzi, in Cristo, Dio promette di prendere i nostri pesi e i nostri fardelli»

 

Di fronte a una percepibile crisi di valori e di speranze, a vuoti legati alla socialità, a crisi politiche, economiche, climatiche, e al costante allontanamento generazionale da temi e valori del passato; e all’orrore dei conflitti che flagellano le popolazioni civili, sabato 23 agosto, nel tempio valdese di Torre Pellice (To), si è aperto con un culto solenne il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi – Unione delle chiese metodiste e valdesi.

 

Il corteo dei membri dell’assise protestante era guidato dal pastore Peter Ciaccio (chiesa metodista e chiesa valdese di Trieste), e il culto ha dato il via a questo “breve” Sinodo di cinque giorni in via sperimentale, che si concluderà mercoledì. La lettura in forma responsoriale di un Salmo ha introdotto la liturgia e la predicazione. «Cara amata Bibbia fonte di confronto», ha esordito Ciaccio citando Mosè, Giona, Maria, Valdo, Lutero e Wesley, figure accomunate dalla consapevolezza che Dio fosse loro accanto e legate dalla storia della Salvezza.

 

La predicazione si è concentrata sul cap. 1 del Vangelo di Matteo (18-25): la nascita di Gesù. «Giuseppe è un personaggio sottovalutato nella tradizione cristiana, oscurato e anche piegato da una certa tradizione mariana, che ce lo restituisce come un vecchietto nella pace dei sensi, quasi una piccola comparsa nella grande storia della salvezza, eppure da questi pochi versetti ci rendiamo conto della sua statura – ha rilevato il predicatore –. “Era un uomo giusto”, racconta Matteo. Nella Bibbia questa espressione significa che la sua vita era conforme alla volontà rivelata di Dio. E questo lo vediamo subito nel modo in cui applica la Torah: che fare se scopro che la mia fidanzata è già incinta? Ricordo – ha proseguito Ciaccio – che, all’epoca non esisteva il matrimonio d’amore e probabilmente Giuseppe e Maria erano poco più che estranei […]. Giuseppe avrebbe potuto “esporla a infamia”, ma non lo ha fatto. Qui si vede “l’uomo giusto” – ha ricordato il pastore –: immaginate oggi, nell’epoca dei social network, del virale, delle gogne mediatiche, della smania di dire pubblicamente tutto quel che si pensa, di svergognare il prossimo».

E ha proseguito ammonendo chi «si crede un “dio”, senza necessariamente credere in Dio. E non c’è bisogno di essere a capo di un governo o di una multinazionale. C’è chi si crede un “dio” al lavoro o in famiglia o nella chiesa. C’è chi crede che il potere più grande sia quello di far soffrire il prossimo o di mostrarsi magnanimi coi sottoposti, purché questi restino tali […] “Fanno cose abominevoli”, dice il salmista. Quanta sofferenza, quanta morte e quanta devastazione è inflitta in nome di un Dio la cui funzione è farsi gli affari propri!».

 

«Esiste invece il Dio di Gesù, che si rivolge a Giuseppe, dicendogli che non basta non esporre Maria a infamia: non è disonorevole creare una famiglia dove sei padre di un bambino che non è biologicamente tuo. Anzi, quell’unione socialmente problematica sarà invece benedetta, così benedetta da essere la culla della salvezza per tutte e tutti».

In chiusura del sermone Ciaccio ha domandato ai fedeli: «Chi vuole sentir parlare di Dio oggi?», e l’ha fatto con un appello alla responsabilità di ciascuno e tornando all’empatia di Dio, perché, «Questo è l’arduo compito delle nostre chiese: parlare di Dio; parlare della relazione che abbiamo con Dio e delle sue implicazioni; parlare del fatto che Dio ci ha trovati, ci ha chiamati e non come giustificazione per sopraffare il prossimo, ma come fondamento per servire e amare il prossimo, per sostenere e difendere gli ultimi; parlare del senso alle nostre esistenze che ci ha donato Dio; parlare del progetto che Dio ha per questo mondo, un mondo che spesso ci fa orrore, ma che Dio ha così amato da volercisi incarnare». È un compito difficile – ha concluso il pastore –, perché viviamo la fatica di portare avanti le nostre piccole chiese, una fatica che a volte ci porta a identificarci con il mitico Sisifo: l’uomo condannato da Zeus a spingere in eterno un masso dalla base alla cima di una montagna; arrivato in cima, il masso scivolava giù e la fatica ricominciava: la fatica enorme e inutile per antonomasia. Ma il nostro Dio non è Zeus: non ci dà pesi che non possiamo portare, anzi, in Cristo, Dio promette di prendere i nostri pesi e i nostri fardelli […]».

 

Diversi i saluti che sono giunti alla Tavola valdese in occasione di questo Sinodo, fra cui quelli di papa Leone XIV, pervenuti tramite il cardinale Pietro Parolin. I lavori sinodali sono poi entrati nel vivo da questa mattina domenicale, con focus sui temi quali: pace, giustizia e integrità del creato, impegno sociale e umanitario, ecumenismo, dialogo e fede.

 

In programma questa sera la consueta serata pubblica alle 20,45 nel tempio di Torre Pellice dedicata al tema «Cerchiamo il bene della città? Nuovi patti per territori che cambiano». Intervengono autorità e sindaci di diverse amministrazioni, provenienti da varie parti d’Italia.

 

 

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Foto di Martina Caroli