Al Sinodo valdese la mostra “La versione di Eva”

La mostra fotografica è promossa da Federazione delle donne evangeliche in Italia e CaraDonna Collective. Ne parliamo con la pastora Mirella Manocchio, presidente della Fdei

 

In occasione del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, in corso a Torre Pellice, il 20 agosto è stata inaugurata la mostra fotografica La versione di Eva, allestita nel corridoio della Biblioteca valdese del Centro culturale di via Beckwith 3. L’esposizione, a cura della Federazione delle donne evangeliche in Italia (Fdei) e del CaraDonna Collective, propone una selezione di venti scatti realizzati dalla fotografa Gemma R. Gonçalves da Silva.

 

La mostra nasce da un progetto creativo che valorizza storie, pensieri ed emozioni di chi sceglie di esprimersi attraverso un messaggio “dipinto” sul proprio corpo. Un racconto corale che celebra diversità, creatività e forza.

Abbiamo chiesto alla pastora Mirella Manocchio, presidente della Fdei, di raccontarci la genesi e il significato di questa iniziativa.

 

 

«La mostra nasce da un incontro fortuito che si è consolidato nel tempo: la Fdei e il CaraDonna Collective hanno scoperto di condividere intenti e sensibilità comuni, in particolare il desiderio di usare in modo positivo, creativo e anche sfidante la corporeità. Già da tempo come Fdei riflettevamo sul corpo, sulla narrazione che viene fatta dei corpi – delle donne ma non solo – anche attraverso il Quaderno dei 16 giorni del 2024. Ci interessava approfondire questo tema in relazione alle questioni di genere, alle discriminazioni e alle violenze. La fotografia e l’uso dei corpi ci sono sembrati strumenti straordinari. Il progetto, che il gruppo di donne aveva iniziato a immaginare già anni fa – allora erano semplicemente amiche, non ancora un collettivo – è cresciuto insieme alla loro consapevolezza e si è trasformato in un lavoro condiviso. Abbiamo fatto una prima tappa a Roma, in occasione dell’8 marzo, con una mostra completa alla Casa internazionale delle donne. A Torre Pellice presentiamo una selezione ragionata, che consente di proseguire la riflessione e il percorso: perché l’intenzione è proprio quella di non fermarci qui».

 

Avete scelto venti immagini su oltre cento: quali criteri hanno guidato la selezione?
«Abbiamo cercato di rappresentare messaggi diversi: alcuni positivi, altri più sfidanti, altri ancora che pongono interrogativi o che dialogano con la nostra fede. Abbiamo voluto anche uno sguardo internazionale: due immagini ritraggono attiviste e artiste iraniane, per testimoniare l’attenzione a ciò che accade alle donne nel mondo, non solo in Italia. Inoltre, compaiono anche uomini e coppie. È un aspetto per noi significativo: da tempo diciamo che una rivoluzione pacifica ma radicale non può essere condotta solo dalle donne, deve coinvolgere anche gli uomini. È necessario creare spazi e occasioni perché gli uomini riflettano e si mettano in discussione. Le sessioni fotografiche sono state fondamentali non solo per l’esito finale, ma come momenti di incontro, dialogo, crescita e consapevolezza. Chi vi ha partecipato ha donato il proprio corpo, la propria bellezza, la propria unicità».

 

Anche lei è ritratta in una foto. Che significato ha avuto per lei questo percorso, come donna e come pastora?
«Ho partecipato alle sessioni fotografiche soprattutto come persona che accoglieva e dialogava con chi arrivava: non tutti avevano le idee chiare su come posare o sul messaggio da trasmettere, e a volte questo è emerso proprio dal confronto. Poi ho sentito che anche per me poteva essere l’occasione di esprimere qualcosa di profondo. Ho scelto un messaggio un po’ sfidante per le altre donne, con la scritta sul corpo “Sorella ci sei?”. È un invito a esserci davvero, a prendere coscienza dei meccanismi culturali e patriarcali che tante volte interiorizziamo senza rendercene conto, e che sono parte del filo rosso che porta fino alle forme più estreme di violenza, compresi i femminicidi. Ho voluto usare la parola “sorella” nel suo duplice significato: la sororità come sorellanza in senso laico, ma anche quella biblica ed ecclesiastica, perché siamo sorelle nella fede. Per questo nella foto tengo in mano anche una croce ugonotta: un doppio richiamo».

 

Se dovesse sintetizzare in una parola o in un’immagine il messaggio della mostra, quale sceglierebbe?
«Direi la bellezza. Non nel senso dei canoni estetici, ma della bellezza intrinseca che i corpi degli esseri umani sanno esprimere in forme diverse. In tempi difficili come quelli che stiamo attraversando, tempi di trasformazione, di sofferenza, la bellezza che i corpi sanno esprimere è qualcosa che allarga il cuore. Anche quando i messaggi sono forti, e le domande rimangono senza risposta, la fotografa Gemma R. Gonçalves da Silva con grande sensibilità è riuscita a cogliere la bellezza non solo delle frasi scritte, ma anche delle persone che le esprimevano. Credo che questo scaldi l’anima e lasci un segno».

La mostra, visitabile negli orari della Biblioteca valdese, resterà aperta fino al 30 settembre. L’ingresso è libero.

 

(foto Martina Caroli)