Coniugare lavoro e dignità

I corridoi lavorativi per persone rifugiate, promossi anche dalla Diaconia valdese, favoriscono una migrazione fondata sulle relazioni con le aziende italiane

 

Riuscire a coniugare le necessità delle imprese di reperire forza lavoro con le speranze di una nuova vita da parte di persone in cerca di un futuro dignitoso. Un progetto che in Europa non esisteva e che può contare su pochi esempi nel mondo. Questo e molto altro sono i corridoi lavorativi riservati ad apolidi e persone rifugiate. Sappiamo, dai pressanti appelli degli istituti di previdenza e delle aziende, quanto l’Italia abbia urgente necessità di manodopera a vari livelli, specializzata o meno, e di contro quanti siano i giovani connazionali a superare i confini in cerca di maggiori opportunità all’estero. Un saldo negativo che ora può essere in parte colmato.

 

«L’Italia si conferma uno dei primi Paesi al mondo a sviluppare un canale regolare di ingresso per rifugiati nel settore lavorativo, attraverso il cosiddetto percorso “extra quota”, al di là cioè dei flussi stabiliti dal Governo ogni anno – ci spiega Loretta Malan, coordinatrice dell’Area inclusione della Diaconia valdese, coinvolta nel nuovo progetto insieme ad altri soggetti pubblici e privati –. Questa nuova opportunità consente alle aziende italiane di selezionare e assumere rifugiati al termine di un percorso di formazione all’estero, contribuendo a costruire un modello di integrazione e solidarietà che valorizza le competenze delle persone e soddisfa le necessità delle imprese».

 

Settanta persone coinvolte in questi primi passi, residenti in Colombia, Egitto, Uganda e Giordania. Due i progetti attivi in Piemonte al momento, fra alta tecnologia e comparto orafo, e uno a Roma nella logistica dell’aeroporto di Fiumicino. Si tratta di una progettualità costruita nell’ arco di tre anni, che ha visto coinvolti anche i ministeri degli Esteri, dell’Interno e del Lavoro perché, prosegue Malan, «non esisteva una normativa ad hoc in materia. Esisteva solo il “decreto flussi”, vincolato a finestre temporali nel corso dell’anno e non aperto a tutti. Con un’ottima collaborazione con gli enti pubblici si è organizzato questo nuovo percorso, svincolato dai numeri del decreto flussi». Le condizioni per la partecipazione sono possedere lo status di rifugiato, frequentare corsi di lingua italiana per giungere a una certificazione minima A1, frequentare un corso di formazione specifico per le mansioni richieste e infine avere un’azienda disponibile ad assumere». Sono proprio le aziende ad aver colto benissimo le potenzialità dei corridoi lavorativi con risposte molto positive alla proposta. Con tali requisiti si può avviare la pratica, quindi «noi stiamo lavorando in stretta correlazione con le aziende allo scopo di facilitare la parte procedurale che può rivelarsi complessa e poi ci occupiamo di favorire l’incontro fra le aziende e le persone rifugiate che attualmente si trovano in un paese terzo».

 

Un intervento di qualità, come ci ricorda il presidente della Csd/Diaconia valdese Daniele Massa: «i Corridoi lavorativi non sono un intervento assistenziale, ma un modello fondato sulla dignità, che garantisce percorsi sicuri e legali e risponde alle necessità di persone rifugiate in situazioni di precarietà, che possono arrivare nel nostro Paese con un contratto di lavoro regolare e un alloggio».

 

«È nostro dovere etico contrastare le narrazioni che generano timore e offrire alternative concrete ai pericoli dei viaggi irregolari. Accanto ai Corridoi umanitari e ai Corridoi universitari, i Corridoi lavorativi vanno in questa direzione», prosegue Massa.

 

Un progetto replicabile in potenza anche su grandi numeri, ma è chiaro – insiste Malan – «il focus deve essere sulle singole persone per offrire garanzie di lavoro e accoglienza dignitosa e un adeguato accompagnamento sociale, per compiere un vero percorso di inclusione. Per questo al momento bisogna lavorare su numero contenuto».

 

Non meno rilevanti gli effetti complessivi anche per i territori, commenta Malan: «Le aziende, nel momento in cui hanno difficoltà a reperire forza lavoro, delocalizzano le loro attività. Se il territorio non garantisce occupazione le aziende se ne vanno e il territorio si spopola. Questo è un progetto che non risolve da solo il problema, ma siamo soddisfatti, dopo tanti anni in cui ci occupiamo di inserimenti lavorativi, di trovare oggi un linguaggio comune con le aziende che si accorgono dell’importanza di prendersi in carica il lavoratore. Un elemento nuovo che avrà ricadute molto positive a livello sociale e per cambiare un poco anche la cultura del lavoro». «Il valore etico del progetto risiede proprio anche in questo aspetto, nel promuovere da parte delle aziende pratiche lavorative socialmente responsabili, pienamente legali e rispettose dei diritti di lavoratrici e lavoratori», le fa eco Massa.

 

Il protocollo coinvolge ministero dell’Interno, ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ministero del Lavoro, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr/Acnur), Diaconia valdese, Pathways International e Talent Beyond Boundaries.

I corridoi lavorativi per apolidi e persone rifugiate sono promossi grazie al sostegno di Acri, Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, Fondazione Compagnia di San Paolo, The Human Safety Net e Reale Foundation e Otto per Mille valdese.