Liste di Attesa e Fascicolo Sanitario Elettronico

La Fondazione Gimbe denuncia ritardi, inadempienze e disparità regionali   

 

Continuano i ritardi e le inadempienze nella nostra sanità pubblica. «Nonostante gli annunci e le dichiarazioni – sottolinea la Fondazione Gimbe in un comunicato dello scorso 11 giugno – il Decreto Legge sulle liste d’attesa (DL 73/2024) non ha ancora prodotto benefici concreti per i cittadini. A un anno esatto dalla sua pubblicazione, l’attuazione delle misure è stata prima bloccata dalla lunga gestazione del decreto attuativo sulla piattaforma nazionale, poi tenuta in ostaggio dal conflitto istituzionale tra Governo e Regioni sul decreto relativo ai poteri sostitutivi».

 

Dei sei decreti attuativi previsti dal DL Liste d’attesa solo tre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, lo scorso aprile. Dei rimanenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita.

Il sistema di monitoraggio nazionale, per verificare l’avanzamento delle visite e dell’eventuale calo dei tempi d’attesa, è in realtà operativo, «ad oggi  non esiste però – commenta il presidente di Gimbe, Nino Cartarbellotta – alcun dataset pubblico che documenti una riduzione dei tempi di attesa. Qualsiasi valutazione sull’efficacia del Decreto potrà essere condotta solo quando i dati saranno resi accessibili in modo trasparente».

 

Con le persone che continuano a rinunciare alle cure: secondo l’Istat, nel 2024 una persona su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, il 6,8% a causa delle lunghe liste di attesa e il 5,3% per ragioni economiche. E la motivazione relativa alle liste di attesa è cresciuta del 51% rispetto al 2023.

 

Non va meglio per l’applicazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). In occasione del 9° Forum Mediterraneo in Sanità, dello scorso 16 luglio a Bari, la Fondazione Gibe ha presentato i dati aggiornati sulla diffusione e l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico nelle Regioni italiane. L’analisi indipendente restituisce un quadro chiaro: lo strumento chiave della trasformazione digitale procede a velocità diverse, generando nuove forme di disuguaglianza.

 

Ad oggi, solo quattro tipologie di documenti sanitari risultano disponibili in tutte le Regioni e appena il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati, con divari abissali e percentuali irrisorie nel Mezzogiorno: si passa dall’1% in Abruzzo, Calabria e Campania al 92% in Emilia-Romagna. Per non parlare dei Servizi digitalizzati: solo la Toscana (56%) e il Lazio (51%) superano la soglia del 50% dei servizi attivati, mentre all’estremo opposto, in Calabria la disponibilità si ferma al 7%, in Sicilia al 9%, nella Provincia di Bolzano all’11%, nelle Marche al 13%, in Campania al 18%. Una frattura che, come ha sottolineato anche il Ministro Schillaci lo scorso 25 giugno alla Camera, «non è solo un problema tecnico, ma è una questione di equità nell’accesso alle cure».

 

«Il Fascicolo Sanitario Elettronico – afferma infine Nino Cartabellotta – dovrebbe essere la chiave per migliorare accessibilità, continuità delle cure e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. Ma oggi, per milioni di cittadini, resta uno strumento ben lontano dalla piena operatività. Il divario digitale tra le Regioni, se non colmato rapidamente, rischia di trasformarsi in una nuova forma di esclusione sanitaria».

 

 

 

Luciano Cirica è membro della Fondazione Gimbe-Napoli