Migranti, prede in un colosseo americano

«È davvero uno strano paradosso: il paese che più è cresciuto e si è arricchito accogliendo milioni di migranti, oggi si propone come capofila di una politica xenofoba e priva di compassione»

 

«Se volessero evadere, dovrebbero imparare a correre a zigzag per fuggire agli alligatori, così le loro chance di sopravvivere aumenterebbero dell’uno per cento». Così il presidente Trump ha commentato l’apertura in Florida di quello che passerà alla storia con il nome sinistro di “Alcatraz Alligator”: un centro di detenzione per i migranti irregolari che potrà ospitare fino a 5000 cosiddetti “ospiti”. Il presidente, calcando i toni e compiaciuto del risultato raggiunto, ha descritto un posto infernale, infestato da pantere, pitoni, coccodrilli e, rivolgendosi al Governatore DeSantis, suo rivale alle primarie e oggi suo competitor su chi adotta le misure più restrittive in materia di immigrazione, ha creduto di fare dell’ironia affermando: «Hai molti poliziotti sotto forma di alligatori. Non devi neppure pagarli troppo».

 

Il primo emendamento della Costituzione americana garantisce la libertà di parola anche al Presidente, persino quando la sua retorica tracima dai limiti dell’opportunità e del buon gusto. Tuttavia, parole così non possono passare inosservate né giustificate dallo stile provocatorio e talora intenzionalmente grossolano del presidente degli Stati Uniti. Egli e il suo staff sanno benissimo che con quelle parole Trump ha rotto gli argini della forma e della correttezza istituzionale ma sono assolutamente convinti di interpretare sentimenti diffusi e popolari e che, d’ora in poi, altri adotteranno lo stesso linguaggio. Dopo l’esternazione presidenziale ogni buon patriota americano si sentirà legittimato a parlare degli immigrati come prede, come animali che combattono per sopravvivere in un colosseo americano, con un imperatore che ha l’ultima parola sulla loro vita o la loro morte.

 

È davvero uno strano paradosso: il paese che più è cresciuto e si è arricchito accogliendo ondate con milioni di migranti, oggi si propone come capofila di una politica xenofoba e priva di compassione. La scritta alla base della Statua della Libertà che accoglieva con un benvenuto i migranti che approdavano a Ellis Island oggi appare ridicola e beffarda.

Ma negli Usa esiste davvero un’emergenza immigrazione che costituisce una minaccia alla sicurezza nazionale? Il Migration Policy Institute, un centro di ricerca specializzato che opera negli Stati Uniti, stima una presenza di migranti irregolari pari a 13,7 milioni di persone, soltanto 1,5 in più di quanti erano 15 anni fa. Insomma, non siamo di fronte a un’invasione ma a una contenuta tendenza alla crescita. Inoltre, 5,6 milioni del totale, quasi la metà dei migranti, sono richiedenti che attendono l’esito della loro domanda d’asilo o di permesso per ragioni di lavoro. E ancora, l’assoluta maggioranza di questi migranti ha un’occupazione, entra negli uffici come addetti alle pulizie, nei campi agricoli per raccogliere frutta e ortaggi, nelle case per vigilare su bambini e anziani non più autosufficienti. Vivono, lavorano, progettano la loro vita, mettono su famiglia ma non sono considerate persone. Sono solo braccia, forza lavoro, una variabile impersonale del sistema economico.

 

Ed ecco l’assurdo paradosso della questione: pur di alimentare la paura del migrante si finisce per andare contro l’interesse nazionale. Accade anche in Europa e in Italia. Nel giorno di inaugurazione della sua presidenza Trump partecipò al culto ufficiale nella Cattedrale nazionale di Washington e la reverenda Mariann Budde, vescova della chiesa episcopale, riferendosi anche ai migranti, implorò: «Lasci che faccia un ultimo appello, signor Presidente… Nel nome di Dio, le chiedo di avere misericordia per le persone nel nostro Paese che ora sono spaventate». Trump reagì stizzito e, a oggi, le parole della vescova Budde sono rimaste un inascoltato appello alla coscienza del Presidente. E forse anche alla nostra.

 

La rubrica «Essere chiesa insieme» a cura di Paolo Naso è andata in onda domenica 6 luglio durante il «Culto evangelico», trasmissione (e rubrica del Giornale Radio) di Rai Radio1 a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Per il podcast e il riascolto online ci si può collegare al sito www.raiplayradio.it.