
Decreto flussi. Più ingressi ma stesse criticità
Il Decreto mantiene un sistema d’ingressi “rigido e disfunzionale”, legato ai click day e limitato a specifici ambiti lavorativi, che porta solo una minima parte di lavoratori all’ottenimento del permesso di soggiorno
Il Decreto flussi, approvato dal governo per il triennio 2026-28, prevede l’ingresso in Italia di 500mila lavoratori, tra stagionali e subordinati, con un aumento di 50mila unità rispetto al precedente triennio.
«Questa è di per sé una buona notizia – afferma Giulia Gori operatrice di Mediterranean Hope – Programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) – che però mostra come la narrativa dell’invasione, spesso cavalcata da questo governo per parlare di immigrazione, di fatto non risponda alla realtà e ai bisogni economici del Paese». Sembra infatti che in Italia ci sia bisogno di più lavoratori migranti.
Il Decreto mantiene invariate le criticità già emerse in passato, mantenendo il sistema del click day e la rigida indicazione dei settori in cui è possibile assumere i lavoratori. «Questo vuol dire – precisa Gori – che anche nei prossimi tre anni un datore di lavoro che ha bisogno di assumere lavoratori dall’estero non potrà farlo in qualsiasi momento dell’anno, quando ne ha bisogno, ma dovrà aspettare l’attivazione dei click day, mediamente una o due volte l’anno, e solo nei settori che vengono specificati all’interno del Decreto». Cioè l’agricoltura e il turismo per i 267mila lavoratori stagionali, e altri settori professionali definiti dal Decreto per i 230mila lavoratori subordinati.
«Questo impone una rigidità poco funzionale al sistema e soprattutto, come abbiamo visto con un monitoraggio attento degli ultimi Decreti flussi, porta solo una percentuale minima di lavoratori all’ottenimento di un regolare permesso di soggiorno», spiega Gori che prosegue: «Secondo i dati che noi abbiamo studiato e raccolto, mediamente solo il 12% dei lavoratori che entrano attraverso il Decreto flussi riesce, alla fine di una procedura piuttosto onerosa e tortuosa, ad ottenere un permesso di soggiorno e quindi ad essere legalmente presente con tutti i suoi diritti sul territorio».
Nell’88% dei casi questo invece non avviene. “Spesso sono i datori di lavoro a non permettere la finalizzazione della procedura; in altri casi la procedura si blocca al livello delle ambasciate che concedono nulla osta e visti in tempi talmente lunghi che quando il lavoratore è pronto per entrare in Italia il lavoro non è più necessario”.
“Quindi – conclude Gori – anche per questo triennio il governo non mette mano a un sistema estremamente rigido, estremamente burocratico, molto oneroso da vari punti di vista e che, soprattutto, è disfunzionale, non portando al raggiungimento dell’obiettivo finale”.