
Chiese e volontariato. Un binomio inscindibile
Che cosa significa il termine volontariato nella chiesa e per la chiesa? Ne abbiamo parlato con due persone che da anni si occupano di questo aspetto
È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di luglio del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it. Il numero contiene un dossier dedicato al binomio inscindibile fra Chiesa e Volontariato. Buona lettura.
«Fare del volontariato nelle chiese? Bisogna avercelo dentro, nel Dna». Così inizia la chiacchierata con Marina Bertin, da una vita impegnata nella Chiesa valdese, con diversi incarichi, da quello legato alla chiesa locale (è attualmente presidente del Concistoro) a quelli in organismi più grandi e nazionali (Diaconia valdese, Federazione delle donne evangeliche in Italia). «Ho iniziato quando ero giovane, a circa 20 anni, proprio con la Fdei: ero già attiva nell’Unione femminile della mia chiesa e ho avuto la possibilità di inserirmi in questo organismo che mi ha aperto la visione su come funziona la chiesa e sul ruolo che ognuno di noi, a titolo volontario, ricopre».
Le occasioni di impegnare il proprio tempo all’interno della chiesa sono molteplici, anche di grande responsabilità, come la Commissione d’esame del Sinodo, che “controlla” l’operato della Tavola. «Questa è un’esperienza che consiglierei a tutti per capire al meglio le dinamiche interne: certo è impegnativo, ed è necessario dedicare tempo ed energie». Nel corso degli anni però Bertin ha notato un certo cambiamento nel modo di essere volontario. «Nella chiesa, come in altri ambiti, tutto si è complicato notevolmente; la burocrazia è cresciuta a dismisura, mettendo in seria difficoltà chi vuole dedicare il proprio tempo. Ci sono alcuni ruoli, quelli dei vertici dei comitati delle opere, dei presidenti o presidentesse dei Concistori che hanno delle grandi responsabilità, per cui è sempre più complesso trovare persone che danno la disponibilità a candidarsi per questi ruoli chiave. Penso sia arrivato il momento di riflettere attentamente su questi aspetti e di riconoscere in qualche modo questi nuovi ministeri».
Ovviamente poi il cambiamento della società e lo spopolamento giocano un ruolo fondamentale. «30-40 anni fa il Concistoro della mia chiesa era composto esclusivamente da pensionati; questo comportava che avevano molto tempo da dedicare alla chiesa. Oggi invece ci sono anche persone più giovani che lavorano e studiano, magari lontano, e non possono ovviamente essere sempre presenti ma si impegnano tantissimo. La questione, già sollevata in altri ambiti, è quella che la nostra chiesa è basata su un’impostazione ottocentesca ma il mondo è cambiato velocemente (il nostro spopolandosi in modo drastico)».
La chiesa di Angrogna si è trovata a vivere alcuni periodi senza il ministro di culto, autogestendosi (con l’aiuto degli organi intermedi, Circuito e Distretto). Come è stata questa esperienza? «Abbiamo già avuto, negli ultimi anni, due esperienze simili. Devo dire che è stata molto arricchente e ha unito la comunità, non ci siamo sentiti abbandonati. Ci siamo rimboccati le maniche e questo ha dimostrato il ruolo centrale del volontariato nelle chiese».
«Il volontariato può avere mille sfaccettature, ma bisogna rendersi conto che non è un ripiego banale per riempire il proprio tempo: è invece una condivisione di solidarietà nei confronti delle persone più deboli, più fragili. Una vera scelta di vita. Personalmente, il volontariato mi ha segnato la vita». Quasi uno slogan, di sicuro una dichiarazione appassionata, quella di Rocco Nastasi, presidente della Caritas di Pinerolo, il “braccio sociale” della Chiesa cattolica.
«Sono nato a Torino e ho iniziato a fare volontariato con il Cottolengo nel 1980. 45 anni dopo posso dire di non aver mai smesso, prima con 40 anni di attività gestendo servizi per le fragilità – Nastasi è stato a lungo presidente di Coesa, la grande cooperativa sociale della Provincia di Torino (ndr) – e poi dal 2019 alla guida della Caritas di Pinerolo».
Un ritorno alle origini, a quel rapporto fra chiesa e mondo del volontariato: «Sì. Credo sia un valore aggiunto coniugare volontariato e fede personale. Credo soprattutto fermamente che le chiese siano l’unico vero argine all’amoralità di questo mondo, la sola vera voce autorevole. Per me fare volontariato oggi significa anche questo, collocarsi e prendere una posizione rispetto alla società così come si propone, e rispetto a un mondo che precipita nelle guerre».
Secondo Nastasi, «bisogna rendersi conto che lo Stato oggi non è in grado di intervenire in maniera capillare sulle fragilità, e quindi grazie al volontariato che si sostengono moltissimi progetti solidali». Per farlo è dovuto cambiare anche lo stesso mondo del volontariato: «nei servizi erogati è stato necessario trovare un equilibrio fra volontariato e professionalità; quest’ultime sono ovviamente necessarie per garantire determinati standard, determinati servizi. Ma senza i volontari non sarebbe possibile erogarli quei servizi. Sono quindi due poli entrambi necessari». Discorso diverso invece per le associazioni o Caritas parrocchiali formate ancora da volontari per erogare i loro servizi sociali.
Alla domanda su come è cambiato il volontario medio nel tempo Nastasi evidenza soprattutto l’aumento dell’età media, un target di persone in uscita dal mondo del lavoro: «i giovani perdono terreno da questo punto di vista, direi che siamo ai minimi storici. Lo testimoniano i dati del Servizio Civile: non si riescono a occupare tutti i posti disponibili. Non conosco le cause di questa tendenza in corso ma credo sarebbe importante tentare un’analisi del fenomeno per non trovarci presto in affanno».
Foto chiesa metodista Roma