
La Buona novella. (Happy) Strike days
La rubrica della redazione dedicata alle buone notizie
8 per 5 non è una semplice moltiplicazione: vuole dire 8 ore per 5 giorni. È la richiesta di un settore, quello tessile, composto da stirerie, stamperie e laboratori del fast fashion di una zona specifica, quella del Livornese e di Prato. Ma soprattutto di una categoria di lavoratori che arrivano dal Pakistan, dal Bangladesh, dall’india il cui lavoro, quasi sempre pagato in nero, ha moltiplicazioni ben più importanti: 12-14 ore per 7 giorni, senza alcuna tutela, anche in caso di malattia. Una situazione di disumano sfruttamento nella quale il silenzio colpevole delle istituzioni serve alle grandi marche del settore, i grandi padroni delle filiere del pronto-moda, per assicurarsi margini di guadagno vertiginosi.
Nelle scorse settimane questi lavoratori, dipendenti quasi tutti da aziende in mano a imprenditori cinesi, sono riusciti nella sfida di “sindacalizzare l’insindacalizzabile”, come dicono al Sudd Cobas, il sindacato che li sta rappresentando e organizzando: sono riusciti a trovare il coraggio e il sostegno per uscire da questa situazione inaccettabile, organizzandosi in scioperi ad oltranza (gli strike days) che hanno messo al muro, almeno per ora, imprenditori senza scrupoli e aziende che su questo sfruttamento costruiscono imperi economici.
I risultati sono incoraggianti: si parla di 24 accordi, per ora, su 28 scioperi, tanto che l’effetto è stato “a valanga” e sempre più lavoratori si sono uniti alla protesta.
Al sindacato non si fanno illusioni: non pensano di aver risolto il problema, perché il settore ha cifre bel più importanti, è spietato e troverà altre strade di sfruttamento, ma sicuramente siamo all’inizio di una piccola rivoluzione volta alla denuncia di un settore silenzioso ma che, come il biblico colosso si appoggia su piedi di argilla.