Testimoniare Dio senza trionfalismi

Un giorno una parola – commento a Matteo 24, 14

Il Signore, Dio, che raccoglie gli esuli d’Israele, dice: «Io ne raccoglierò intorno a lui anche degli altri, oltre a quelli dei suoi che sono già raccolti»

Isaia 56, 8

E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine

 Matteo 24, 14

Care lettrici, cari lettori, ogni volta ci troviamo di fronte a questo tipo di dichiarazioni profetiche, dobbiamo correggere un po’ le lenti con le quali secoli di letture cristiane del mondo ci indirizzano verso una o l’altra percezione. Soprattutto quando si parla di “fine”: di che cosa?

 

Una di queste letture a mio avviso estremamente pericolosa è quella che ha preso forza grazie all’acuirsi violento e criminale del conflitto tra Ebrei e Palestinesi. Sappiamo che dietro questi eventi drammatici ci sono precise speculazioni messianiche che attendono una riorganizzazione politica delle parti in gioco in chiave sionistico-trionfalistica che creerà le condizioni per la seconda venuta di Cristo.

 

Nel vangelo, però, se leggiamo bene, non c’è traccia di trionfalismo. La testimonianza che i cristiani renderanno a tutte le genti è innanzitutto una presenza sofferente, come quella dei profeti di Israele o del popolo stesso che parlava del proprio Dio attraverso la fede in situazioni di persecuzione e di esilio. Non di proselitismo ai pagani. E anche se già esistevano le comunità paoline con la loro apertura missionaria ai tempi della scrittura dei vangeli, qui Matteo parla più in generale della predicazione dell’evangelo in tutto il mondo.

 

Perché la buona notizia della misericordia di Dio arrivi agli orecchi e alle decisioni di tutti e tutte, deve prima attraversare tribolazione, odio e sterminio. Allora verrà la fine, qualunque cosa questo significhi, e sarà il trionfo definitivo dell’amore di Dio. Amen.