Garrone, insegnamento in cammino

L’intervista al docente di Antico Testamento Daniele Garrone al termine della sua carriera da docente

 

Il 7 giugno scorso si è tenuto un simposio internazionale presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma per omaggiare e salutare l’emeritazione del professor Daniele Garrone, docente di Antico Testamento e già decano dell’Ateneo. Al simposio che aveva per titolo «Gli stranieri nel mondo della Bibbia ebraica» hanno preso parte illustri teologi e teologhe, come la professoressa Jutta Hausmann dell’Università ebraica di Budapest, il professore Jean-Louis Ska del Pontificio Istituto biblico di Roma e ancora il professore Thomas Römer del Collegio di Francia di Parigi e ovviamente l’ospite d’onore, Daniele Garrone, che nell’occasione ha tenuto una lectio magistralis sul tema «Stranieri eccellenti nella Bibbia ebraica».

 

Al professor Garrone – ospite del «Culto evangelico» di Rai Radio Uno nella rubrica di cultura e società «Tra le parole» – abbiamo chiesto chi è lo straniero eccellente nella Bibbia. «La Bibbia ebraica, il nostro Antico Testamento, parla di tanti stranieri eccellenti, di tanti popoli e individui; ci sono anche molte pagine critiche, polemiche, ma anche norme a tutela dei migranti; nei testi, poi, non mancano alcune figure individuali che ho definito eccellenti perché non fanno ciò che normalmente ci si aspetterebbe da loro, e che dunque non corrispondono all’immagine stereotipata dello straniero. Abramo, per fare un solo esempio – prosegue Garrone –, che incontra Melchisedec, sacerdote del Dio Altissimo e re di Gerusalemme e gli paga spontaneamente la decima; o che quando incontra Abimelec, re di Gerar pensando che da quelle parti non vi sia morale, scopre invece una persona retta e giusta. L’Antico Testamento ci consegna figure importanti che emergono in modo positivo nei testi».

 

– Lei lascia la cattedra di Antico Testamento dopo tanti anni di onorato servizio e ricevendo una lettera di ringraziamento e di saluto dei suoi studenti e letta al Simposio a nome di tutti da Lucrezia Cavina; tuttavia resta in carica come presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia ed è noto a tutti l’impegno che la Fcei rivolge a richiedenti asilo e ai rifugiati. Le chiedo, oggi lo straniero (il migrante, il richiedente asilo) è nuovamente al centro di tensioni, polemiche e conflitti

«La sfida è innanzitutto culturale. Come lo è il tema della cittadinanza. La nazione non ha bisogno di avere dei sudditi o di “tollerare” il fenomeno, perché dell’immigrazione abbiamo bisogno, come ci dicono gli ambienti produttivi. Non muoversi per l’inclusione, l’accoglienza, la regolarizzazione, diventa una bandiera politica ideologica. Alcuni versetti della Bibbia ebraica, dell’Antico Testamento, ci possono aiutare in tal senso, come il “tu conosci l’animo dello straniero perché fosti straniero in Egitto”. Testi che possono aiutarci a riflettere e a farci ricordare la nostra storia e quella di immigrati, di persone che in massa si diressero all’estero sin dalla fine dell’Ottocento. Dovremmo poi sapere che molti stranieri che si sono – o si stanno – formando in Italia, sono costretti a andare all’estero per trovare un’occupazione».

 

– La sua cattedra di Antico Testamento però è giunta a termine:

«Per anni ho raccontato e spiegato gli stessi testi, la loro genesi, la loro storia, un’esegesi in continua evoluzione. Il mio cammino l’ho sempre messo in analogia con le gite in montagna; in quelle occasioni ci si rende conto che, pur rifacendo sempre lo stesso itinerario per raggiungere la vetta, in realtà si scoprono e si osservano sempre cose diverse e nuove: i punti di osservazione e di vista cambiano ogni volta. E siccome le persone che ho incontrato nel mio cammino sono state – e probabilmente lo saranno – generazioni di pastori e pastore a cui ho avuto il piacere di poter insegnare, mi auguro d’esser riuscito a far sentire loro qualcosa di questo mio approccio mai “routinario”, sempre in cammino, e di aver fatto sentire tutta l’emozione che ho provato e che quest’avventura genera».

 

– Agli studenti si dice che non si finisce mai di imparare. Si può invece finire davvero di insegnare?

«Io direi che si riesce a insegnare solo se si è ancora capaci di imparare. Insegnare non è la capacità di saper attingere da un bagaglio chiuso, rifornito, ma la capacità di saper “distillare”, di saper ri-cercare durante il cammino e di farsi fare domande, sempre, anche quando non si hanno immediate risposte. In questo consiste l’insegnamento».

 

«Tra le parole» a cura di Gian Mario Gillio è andata in onda domenica 15 giugno per il «Culto evangelico», trasmissione (del Giornale Radio) di Rai Radio1 a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Per riascoltare il programma è possibile collegarsi al sito: www.raiplaysound.it.